Psicosintesi dell’età evolutiva

Rivista di Psicosintesi Terapeutica – Anno VI, Numero 12, Marzo 2005

PSICOSINTESI DELL’ETÀ EVOLUTIVA

di Daniela Ducci

This article is about the development of man from birth to maturity, according to the Psychosynthetic model.
The self, prime element for each person, operates from birth, perhaps even earlier, and evolution is represented as an expression of the Self, in a more or less positive way according to the fact that the external environment may be favourable or may represent an obstacle.
The development of the child is followed by means of the development of will, the central function, which accompanies and organizes physical, emotional and cognitive processes.
The personality which begins to gel a structure from the very first years of life is a result of the meeting between the finalities of the Self, the Psychological Type and external relationships.
The study of the primary affective relationships and also the contribution of other theories of personality, is considered essential but in a precise conception: personality isn’t formed by relationships and experiences but by the dynamic relation between the relationships themselves and what the child already potentially is at birth.

L’articolo presenta lo sviluppo dell’uomo dalla nascita alla maturità, secondo il modello della psicosintesi. Il Sé, elemento cardine della persona, opera fino dalla nascita, forse dal concepimento, e l’evoluzione è letta come tendenza del Sé a esprimersi, in modo più o meno positivo e compiuto a seconda che l’ambiente esterno sia un facilitatore o un ostacolo.
Lo sviluppo del bambino viene seguito attraverso lo sviluppo della volontà, funzione centrale, che accompagna e organizza i processi fisici, emotivi e cognitivi. La personalità che si struttura a partire dai primi anni di vita è il risultato dell’incontro fra le finalità del Sé, la tipologia e le relazioni esterne.
Lo studio delle relazioni affettive primarie, e dunque anche il contributo di altre teorie della personalità, viene considerato indispensabile ma in una precisa ottica: la personalità non viene formata dalle relazioni e dalle esperienze, ma dalla dinamica fra le relazioni stesse e ciò che il bambino già potenzialmente è alla nascita.

 

INTRODUZIONE

Storicamente fino al XVII secolo non si è attribuito importanza all’infanzia come fase distinta del ciclo vitale, tranne alcune eccezioni nell’antichità (es. Platone). I neonati avevano evidentemente cure speciali dal punto di vista dell’allevamento fisico, ma non venivano considerati da un punto di vista affettivo o cognitivo, e appena possibile, intorno ai 4 anni, venivano inseriti nel mondo degli adulti, e considerati tali. Dal XVII secolo ci si cominciò a occupare più specificamente dell’infanzia e della educazione, ma soprattutto in senso morale e religioso e i bambini comunque alla nascita venivano ancora considerati “tabula rasa”, una lavagna vuota su cui l’adulto doveva scrivere. In opposizione a questa comune concezione, Rousseau alla fine del XVII secolo considerava il bambino un nobile selvaggio, con una conoscenza innata del bene e del male.
Con la psicologia del profondo, l’infanzia viene studiata come fase della vita di particolare importanza, ma si prendono in considerazione solo gli aspetti più evidenti, cioè quelli pulsionali, e il bambino viene definito “polimorfo perverso”. Sinteticamente possiamo dire che fino a oggi si sono alternate concezioni anche diverse dell’infanzia, ma è prevalsa sempre la convinzione che il bambino vada educato nel senso di addestrato, o che sia un essere idealizzato che non ha bisogno dell’adulto: l’educazione non viene intesa nel senso etimologico di e-ducere, portare fuori. Tutte queste concezioni sono nate nel tempo probabilmente perché il bambino è tutto inconscio, e questo ha favorito l’immagine della tabula rasa, del primitivo, del polimorfo perverso, e ha anche favorito le proiezioni stesse dei vari pedagogisti.
È interessante notare che da un punto di vista giuridico è solo dal 1989 (convenzione di New York) che gli stati riconoscono il diritto di ogni fanciullo a livello fisico, emotivo, mentale e spirituale, l’obbligo per i genitori di curarne lo sviluppo (pena la decadenza della patria potestà), e il dovere per gli stati di sostenere i genitori.
Assagioli non si è occupato particolarmente della psicologia dell’età evolutiva, ma la sua concezione risulta chiaramente da tutti i suoi scritti, oltre che da alcuni appunti specifici.
Per la psicosintesi il bambino è una realtà molto complessa, ancora per molti aspetti da comprendere; già nel neonato vi sono formazioni subcoscienti congenite, e disposizioni individuali, e una vita interiore. Il compito degli educatori non sarà quello di riempire un vuoto o di dominare gli istinti, ma quello di portar fuori l’individuo che è già in potenza nel neonato. La concezione del Sé, elemento cardine della teoria psicosintetica, caratterizza il senso della evoluzione dell’individuo fino dal concepimento.
Il Sé opera fino dalla nascita come elemento strutturale della psiche e come organizzatore e guida dei processi psichici, esiste fino dal concepimento e i bambini sperimentano un senso di sé emergente fino dall’inizio della vita; l’espressione del Sé poi, si sviluppa con il nutrimento delle relazioni. Molti degli ultimi studi recenti sulla prima infanzia sottolineano che le prime difese, i desideri, le fantasie infantili (cui la psicanalisi aveva dato importanza primaria) e anche lo stato di rapporto fusionale con la madre, sono comunque successivi alla “formazione” del Sé (Stern, Firman e Gila): in realtà il Sé non si forma, il Sé c’è fino all’inizio della vita, e il bambino non è primariamente impegnato nella relazione, bensì nella espressione di un Sé che ha bisogno della relazione.
Ciò che si struttura nella relazione è invece la personalità, come insieme di contenuti fisici, emotivi, mentali e spirituali che tendono a una integrazione; l’ovoide, come rappresentazione grafica della personalità del bambino, è occupato prevalentemente dal livello inconscio, con il Sé che rimarrà immutabile, e un campo di coscienza che diventa con la crescita sempre più ampio grazie alle relazioni affettive. All’inizio della vita il bambino è tutto inconscio, e per i pri­mi anni la coscienza è rudimentale e ristretta: i momenti di consapevolezza sono fuggevoli e non vengono collegati a un Io. Questo ha fatto credere in pas­sato che il bambino sia un essere da plasmare e da costruire e non un essere che si deve sviluppare, nel senso letterale di “togliere i viluppi” e manifestarsi. In un certo senso all’inizio della sua vita l’uomo è un primitivo, immerso nelle energie dell’inconscio, ma nel giro di pochi anni è capace di una rapida ricapitolazione dello sviluppo della specie, e quindi di sviluppare un sub-cosciente differenziato e poi una coscienza (Assagioli, in Educare l’uomo domani). Tutta la vita è un percorso dall’olocinetico e indifferenziato verso una sempre maggiore differenziazione e specificità; dalla totale incoscienza a una sempre maggiore e focalizzata consapevolezza: come dice un insegnamento rabbinico, siamo sulla terra per conoscere il nostro vero nome.
Inoltre ogni bambino nasce con una sua tipologia, con certe sue caratteristiche e potenzialità innate, che tende a esprimere:

“nella psiche infantile vi sono disposizioni, formazioni subcoscienti congenite che si presentano fin dai primi mesi come differenze di umore e di comportamento, e si andranno evidenziando sempre di più con la crescita. Il bambino è una realtà complessa, in cui fino alla nascita sono presenti elementi individuali, ereditari e collettivi, energie pulsionali e emotive, e un’anima che attende di esprimersi attraverso la personalità in formazione[1]”

Roberto Assagioli

Per questo sviluppo il bambino ha bisogno della relazione: è nella relazione primaria che può acquisire la fiducia di base, integrare i vissuti fisici, emotivi e mentali in una personalità coerente, e esprimersi. Non è la relazione che lo forma: la direzione del suo sviluppo è già determinata dal Sé, ma per realizzarsi ha bisogno della relazione.
Gli studi e le osservazioni sulla prima infanzia di ogni scuola, compresa la psicosintesi, sottolineano la grande importanza delle prime relazioni affettive, ma la psicosintesi le inserisce in un contesto metapsicologico diverso, all’interno del quale è il Sé che determina e dirige lo sviluppo, mentre le relazioni primarie sono facilitatori o ostacoli al progetto del Sé.
La funzione di contenitore che la madre svolge durante la gravidanza, continua nel primo anno di vita come gestazione mentale ed empatica: il neonato vive protetto nella mente e nel cuore della madre; è la madre che deve adattarsi a lui e all’inizio quasi farsi parassitare senza paura. Lo sviluppo del bambino presenterà dei problemi quando è lui che deve adattarsi alla madre, o quando questa omette di fare ciò che lui si aspetta: il trauma può nascere anche da una mancanza.
Il bambino inizia da subito a interiorizzare l’amore che gli viene dato come amore per se stesso, e la affidabilità dell’ambiente esterno come fiducia in se stesso; il suo stato di coesione interno è sorretto dall’altro: noi riconosciamo ciò che ci viene rispecchiato (mirroring, secondo la definizione di Winnicott) e ne diventiamo coscienti. Il Sé ha bisogno di un ponte per dare stabilità all’Io e collegarsi col mondo esterno, e questo ponte è la relazione primaria con i genitori, in primis con la madre, relazione che permette al suo Sé di irradiare sull’Io, e di collegarsi alla realtà.
Un aspetto “delicato” delle prime relazioni è determinato dal fatto che il contatto profondo con le forze inconsce rende il bambino particolarmente ricettivo alle energie inconsce collettive, e in particolare alla atmosfera psichica in cui vive: in altri termini il bambino è molto influenzato dall’inconscio dei genitori, più che dai loro comportamenti coscienti. Il rispecchiamento stesso (mirroring) non è necessariamente cosciente, perché inizia probabilmente nella fase intra-uterina e coinvolge il livello inconscio della madre, rispetto al quale il bambino è molto ricettivo.
Per molto tempo è anche indifeso nei confronti delle proiezioni degli adulti e le relazioni sono prevalentemente da inconscio a inconscio, ma è proprio in queste relazioni primarie che il bambino può o meno acquisire la fiducia di base.

 

LA STELLA DELLE FUNZIONI

Un aspetto importante della originalità e unicità di ogni bambino è dato dalla lettura della sua stella delle funzioni. La volontà occupa nel diagramma della stella una posizione centrale, non solo perché coincide con la centralità dell’io, ma anche perché è una funzione più stabile delle altre: ogni individuo “è” una volontà. Le altre funzioni sono più o meno sviluppate a seconda della tipologia, e comunque si attivano, una dopo l’altra con la crescita; si sviluppano cioè sequenzialmente in questo ordine: sensazione, impulso-desiderio, immaginazione, emozione-sentimento, pensiero, intuizione. Questo sviluppo generale mantiene delle caratteristiche individuali, tali per cui fin dai primi anni di vita in ogni bambino si può osservare una particolare energia e dinamicità in una funzione più che in un’altra: l’atteggiamento fondamentale è innato, e la messa a fuoco di questa caratteristica, è di grande importanza per l’educazione e per la comprensione di eventuali sofferenze o patologie nel bambino.
È di grande importanza anche nella istruzione scolastica, dove il riconoscimento da parte degli insegnanti di diverse modalità di rapporto con la realtà, e di diverse “intelligenze”, consentirebbe più facili apprendimenti e risparmierebbe a molti bambini la frustrazione di non poter usare i propri talenti e di dover utilizzare modelli cognitivi, in genere molto mentali, che non appartengono alla loro tipologia, con conseguente ricaduta di bassa autostima e depressione.

All’inizio della vita il bambino è completamente identificato nel corpo, vive la sua corporeità: le funzioni che per prime si manifestano sono la sensazione e l’impulso-desiderio (dall’inizio della vita).
Con la sensazione il bambino contatta, conosce in modo indifferenziato la realtà dentro e fuori di lui; la bocca è all’inizio la parte più sensibile, le cose che il bambino può toccare con le labbra o inghiottire sono le uniche reali, e per molto tempo cercherà di mettere in bocca tutto ciò che trova, non per nutrirsene ma per conoscere; possiamo dire che con la bocca non solo mangia ma pensa, o meglio che usa per entrare in contatto col mondo e conoscerlo la sensazione.
Poiché non sono ancora sviluppate altre funzioni, le sensazioni, che provengono dal mondo esterno, e le pulsioni, sono all’inizio della vita fortissime: sensazioni per noi sgradevoli possono essere per un neonato esperienze catastrofiche (ad es. la fame), mentre quelle piacevoli portano a uno stato generale di beatitudine.
I bambini nei quali questa funzione rimane tipologicamente più sviluppata delle altre, sono caratterizzati da una grande sensibilità percettiva, che se ben guidata può esprimersi creativamente, ma anche da una grande impressionabilità e suggestionabilità: più di altri bambini possono aver bisogno di aiuto per le loro paure infantili.
Mentre la sensazione ha carattere recettivo, la funzione impulso-desiderio spinge all’azione, azione che all’inizio sarà il pianto, è anzi il carburante di ogni azione: gli impulsi tendono ad esprimersi ed esigono espressione. Attraverso questa funzione il neonato può creare una relazione, che sarà buona se i suoi impulsi e desideri vengono accolti, esauditi, contenuti.

Parallelamente si attiva la funzione immaginativa, se accogliamo l’ipotesi che il neonato con la fantasia impari a rispondere ai suoi bisogni in modo fantasioso e onnipotente; inoltre, non sappiamo ancora molto sulle fantasie che accompagnano la gestazione, ma sicuramente il bambino già nel grembo materno sogna. È comunque dopo il primo anno di vita che il bambino impara a rappresentarsi gli oggetti e le persone assenti, quando con il linguaggio impara a evocarli: da questo momento l’immaginazione è fondamentale per la crescita, perché attraverso essa il bambino può sperimentarsi e padroneggiare la realtà, e può compiere il percorso dalla soggettività a una vera relazione con un “non-me” L’immaginazione è poi fondamentale per il gioco, l’attività più importante per lo sviluppo della personalità. Il gioco permette la sperimentazione delle abilità fisiche e cognitive, permette l’imitazione dei modelli attraverso “l’agire come se fossi”, e quindi l’acquisizione di pattern di comportamento. Nei primi anni di vita il bambino tipologicamente orientato sulla immaginazione, può servirsene facilmente per crearsi un mondo a parte in cui ritirarsi, quando nella realtà incontra degli ostacoli; pensiamo ad esempio alla creazione dell’amico immaginario, che è frequente fra i bambini, ed offre loro una sorta di primo “dialogo interno”, quando però non diventa sostitutivo di ogni altro confronto con amici reali.

La funzione emozione-sentimento si sviluppa pienamente intorno all’età della scuola materna. Comportamenti precedenti, che possono essere scambiati per “sentimenti”, sono invece da leggere come “sensazioni” (ad esempio la paura di una persona sconosciuta, o il desiderio di essere preso in braccio dalla mamma, o il pianto). All’età della scuola materna il bambino ha definitivamente stabilito i confini della sua persona, e inizia a percepirsi come un io completamente separato. La percezione di sé è per forza di cose egocentrica e narcisistica, ma iniziano delle vere relazioni con gli altri, delle simpatie o antipatie, inizia il sentimento dell’affinità con una persona piuttosto che con un’altra. Intorno ai 3 anni i bambini imparano veramente a giocare insieme, collaborare a piccoli compiti e scambiarsi delle fantasie da convogliare in un gioco: fino a questo momento 2 o più bambini possono stare insieme a giocare ma non giocano insieme. Nella capacità di relazione si sviluppano i sentimenti, gli slanci affettivi, la collera, la tristezza e l’allegria; in questa fase i bambini, soprattutto quelli che fanno parte del tipo amore, sono molto passionali e spesso mutevoli nell’umore.

Intorno all’età scolare si attiva pienamente la funzione del pensiero. Con ciò il bambino impara a conoscere lo spazio e il tempo, può rimandare un impulso, acquisisce una prima capacità di astrazione, può esercitare la memoria, può operare sulla realtà con il ragionamento. Prima che sia operante questa energia, è inutile appellarsi al ragionamento nella relazione.

L’intuizione, come funzione che permette di conoscere al di là del processo razionale o dei sentimenti, consente al bambino di valutare in un attimo una persona o una situazione perché lo mette inconsciamente in contatto con gli avvenimenti. Nel modello psicosintetico riveste una particolare posizione perché è la funzione che permette di accedere alla conoscenza della realtà spirituale, e in questo senso si sviluppa pienamente solo dopo le altre. In realtà già nei primi anni di vita i bambini entrano in rapporto con una dimensione transpersonale, e questo si manifesta attraverso domande che se rimangono inevase o non considerate dagli adulti, chiuderanno al bambino questo contatto, a volte per sempre; ma è nell’adolescenza che secondo Assagioli (dopo la pre-adolescenza da lui considerata una fase “muscolare”) si manifesta una spiritualità vera, spesso tumultuosa; si “contattano” intuitivamente grandi ideali, infinite possibilità al di là dei ristretti limiti dell’esperienza. La coscienza si amplia a contenere il mondo intero, e spesso in questa fase, soprattutto i ragazzi tipologicamente intuitivi, fanno particolarmente fatica a correggere e bilanciare con il rigore della ragione ciò che loro appare immediatamente percettibile.

 

LA VOLONTÀ

“Funzione psicologica, la più vicina all’io, sua diretta espressione. Sorgente di tutte le scelte, le decisioni, gli impegni. Attraverso la sua scoperta dentro di noi percepiamo di essere un soggetto vivente dotato del potere di operare cambiamenti nella nostra personalità, negli altri, nelle circostanze. Ha funzione direttiva e regolatrice simile a quella del timoniere su una nave.[2]”

Roberto Assagioli

La volontà accompagna e guida tutte le fasi dello sviluppo, si manifesta e si esprime attraverso le varie funzioni prima come volontà di esistere, poi di affermarsi, di crescere e di realizzarsi, e opera come funzione guida dal concepimento alla piena realizzazione della personalità. La volontà di ogni essere alla nascita è diventare quello che è in potenza, esattamente come un seme che tende a diventare la pianta che è in lui.

“Il bambino è come un albero che cresce sulla riva di un fiume: dobbiamo aspettare e non imporre la nostra volontà[3]”

F. G. Wickes

Il bambino alla nascita è già una volontà che tende alla sua espressione, non è consapevole ma è intenzionale, mentre la personalità deve formarsi. Pur in uno stato in cui il bisogno di protezione e la dipendenza sono totali, questa volontà da subito si manifesta, e con la crescita aumenterà il bisogno di libertà e autonomia e diminuirà il bisogno di protezione, in un delicato rapporto di scambio: la relazione fra bisogno di protezione e di autonomia è così fondamentale e delicata che noi possiamo leggere le difficoltà della crescita anche come un problema lungo questo continuum.

“La vita psichica infantile si impernia sul gioco di queste due tendenze fondamentali: attaccamento affettivo e autoaffermazione. La prima dà: amore per i genitori, tendenza alla imitazione passiva, alla identificazione, dipendenza … La seconda: spirito di contraddizione, indipendenza, critica, … antagonismo, prepotenza, originalità[4]”

Roberto Assagioli

Perché lo sviluppo sia ottimale il bambino dovrebbe avere tutta la protezione che gli serve e non di più: l’eccesso è dannoso quanto la carenza, e i suoi caregiver dovrebbero proteggerlo fino a quando è in grado di lasciar uscire le sue capacità, operazione che necessita di un alto grado di empatia e della convinzione che il bambino va riconosciuto come un Sé che tende alla sua espressione, rinunciando a orientarlo verso altri progetti.
Il processo di sviluppo deve procedere nel rispetto della libertà e della protezione, di analisi e sintesi, verso la piena realizzazione di Sé: ogni esperienza che il bambino fa, sarà un ostacolo o un facilitatore in relazione a questo percorso.
Nella prima fase della vita il bambino ha solo uno strumento per esprimersi: il pianto; va ascoltato come prima importante comunicazione. Per lo sviluppo del bambino sarà importante se il pianto è stato recepito o no come messaggio: nella storia di persone depresse c’è spesso un passato di bambini molto buoni, che non piangevano mai. In realtà un neonato impara molto presto a rassegnarsi se la sua comunicazione non è accolta.
Il pianto è una prima esperienza della volontà: manca in questa fase di sviluppo la intenzionalità, ma il bambino esprime comunque un primo livello di volontà che possiamo intendere come “volontà di esistere”; inoltre nel rapporto che lui crea attraverso il pianto, si strutturano o meno i primi fondamenti della sua percezione di sé come essere “importante”, capace di influire sull’ambiente. Nella misura in cui al suo pianto istintivo segue una risposta (cibo, calore, voci), fa esperienza che certi suoi atti producono un effetto, e che dunque lui è attivo, influente e ha una relazione con l’ambiente e che l’ambiente è in relazione con lui.
Se il pianto del bambino resta senza risposta, ne conseguirà un vissuto di abbandono: il bambino non piangerà più, si mostrerà apparentemente tranquillo e silenzioso, ma sarà andata perduta la prima importante occasione perché lui stabilisca un rapporto di fiducia con se stesso e con il mondo esterno. Peraltro se il suo bisogno viene anticipato, come quando viene alimentato “a ore fisse” prima che lui si sia espresso, la sua fusione con la madre più difficilmente troverà una soluzione, e non si stabiliranno nella psiche del bambino le premesse per la creazione di uno spazio fra stimolo e risposta, lo spazio che rende possibile essere “attivi” nella vita e non “reattivi”. La giusta distanza fra il neonato e i suoi caregiver crea un primo nucleo del territorio dell’Io e della coscienza (La casa di Psiche, secondo la bella definizione di Galimberti).
Il concetto di oggetto transizionale, e di spazio transizionale (Winnicott), è fondamentale a questo proposito, perché struttura questo “luogo” psichico, e si attiva in questa fase della vita. L’oggetto transizionale è un oggetto reale usato dal bambino come oggetto simbolico. È il primo pezzetto di “non me” che entra nel mondo del soggetto ed è il frutto di un lavoro psichico. Simbolicamente è la madre, ma rappresenta anche molto di più: è il simbolo con il quale il bambino controlla l’assenza e se ne appropria, è il simbolo con cui elabora il passaggio fra me e non-me. Possiamo dire che è il primo lavoro di una identità che si afferma.

L’oggetto transizionale nasce durante l’assenza e permette di sopportarla; dunque perché questo processo della fantasia si metta in atto è necessario che il bambino viva delle assenze, nella misura in cui può sopportarle e gestirle.
Lo svezzamento può essere una fase traumatica, ma di nuovo solo in relazione alla capacità della madre di contattare emotivamente il figlio e considerarlo un individuo con le sue personali esigenze, che possono fin da ora essere recepite, attuando una sorta di rispetto per lui come volontà in potenza.

A questa prima fase dominata dalla alimentazione, dalla sensazione e dal rapporto fusionale con la madre, segue una maturazione di tutto l’apparato muscolare che consente al bambino di usare prima la prensione manuale, poi di muoversi in modo indipendente nello spazio, e infine di camminare. È questo un momento di grande importanza per ogni individuo, paragonabile forse alla conquista della stazione eretta per l’evoluzione della specie. Il bambino per la prima volta si percepisce indipendente e autonomo, può dirigersi dove vuole e prendere ciò che lo attrae.
In questa generale maturazione muscolare acquisisce anche una consapevolezza delle stimolazioni sfinteriche; può controllare ciò che esce dal suo corpo, del quale stabilisce così confini più stabili e certi. È quella che la psicoanalisi chiama “fase anale”, sottolineando ed enfatizzando solo un aspetto parziale di un processo. Il controllo di ciò che è “interno” al corpo assume indubbiamente una particolare importanza e qualunque interferenza in questo spazio viene sentita anche da un bambino come invasiva e destrutturante, ma per quanto riguarda il cammino della volontà, è importante tutto il processo di maturazione muscolare che consente un grande progresso sul piano dell’autonomia.
Nello stesso periodo il bambino impara a usare il linguaggio per esprimere i suoi bisogni e richieste, passando dalla ripetizione di vocaboli all’uso della “parola frase”, e usa e abusa della parola “no”, per Assagioli la prima manifestazione della volontà forte. A questo punto dello sviluppo e per la prima volta “l’Io ha la libertà di ignorare la relazione e agire in opposizione”[5]. Il bambino può dunque raggiungere ciò che vuole, il suo corpo diventa “mio”, è cosciente di essere un Io, sperimenta che si può opporsi alla volontà degli adulti: dopo la volontà di esistere emerge la volontà di affermarsi. Nei casi in cui il rapporto madre-bambino è disturbato in modo molto grave, come nelle psicosi infantili, il bambino non usa il pronome Io e parlerà di sé usando la terza persona.

Con la crescita il bambino diventa sempre più indipendente da un punto di vista fisico e motorio, e consapevole di sé, ma per sentirsi sicuro ha bisogno di sentirsi ancora contenuto, questa volta nel suo agire, nel comportamento e nelle pulsioni, che non è ancora in grado di gestire. Questo è un aspetto forse poco considerato da alcune teorie idealiste, come quella di Spock, che pertanto sono risultate fallimentari. Il bambino è una volontà, un Sé che tende a realizzarsi ed esprimersi, ma in tutta la prima parte della vita ha bisogno di essere aiutato nella formazione di una personalità che gli consenta di realizzare questo obiettivo.

Un bambino nell’età della scuola materna è pronto e desidera staccarsi dal contatto con la madre e giocare con altri coetanei, ma ha bisogno di sentirsi guardato, protetto, in qualche modo controllato da un adulto di fiducia; se, voltandosi, non vede più la madre, interrompe il gioco e piange. Le abitudini hanno, per i primi due-tre anni di vita, la stessa finalità di “buon contenimento”. Avere le stesse persone che si occupano di lui, gli stessi orari, lo stesso letto, lo stesso importantissimo oggetto transizionale, che può essere un peluche o una copertina, crea intorno al bambino una sorta di spazio sicuro e stabile, che è per lui un luogo anche psichico all’interno del quale può crescere secondo le sue inclinazioni; l’affidabilità e la stabilità esterne saranno interiorizzate come affidabilità e stabilità interne.
Anche i divieti, le regole, hanno una funzione protettiva. Vivere in un contesto ambientale e relazionale con regole chiare e definite vuol dire circoscrivere uno spazio di libero movimento, dentro il quale si sa di poter agire in libertà e senza pericoli. L’assenza di regole, come l’assenza di limiti, o peggio un contesto con regole incerte, pone al bambino un compito che non è ancora in grado di assumersi: quello di capire da solo cosa è pericoloso e cosa no, cosa è bene e cosa è male, e quali saranno le conseguenze delle sue azioni.
Nella relazione affettiva, l’incoerenza degli adulti importanti crea un “attaccamento disorganizzato” che rimarrà come matrice di tutte le relazioni affettive seguenti. Si intende per incoerenza un comportamento mutevole, ora affettuoso ora espulsivo, indipendentemente dal contegno del bambino; la mancanza di regole certe; in sintesi una relazione che dipende solo dalle variazioni umorali dell’adulto, completamente scollegata dal comportamento del bambino e dal suo sentire.
Questi assunti generali restano validi fino alla piena adolescenza, anche se la protezione e le regole riguarderanno nel tempo aspetti diversi, in armonia con lo sviluppo della personalità e delle funzioni psichiche.
Quindi all’inizio il neonato ha bisogno di sentirsi totalmente contenuto nella madre. Con lo sviluppo motorio ha bisogno di sentirsi protetto-contenuto nel comportamento e nella sfera degli impulsi: il contenimento è qui ancora richiesto sul piano fisico della presenza e del contatto. In seguito, la funzione-contenitore riguarderà le emozioni e i sentimenti, insieme allo sviluppo della funzione pensiero. Alle soglie della scolarizzazione il bambino ha acquisito la capacità di separarsi temporaneamente dalla casa, di controllare a sufficienza le emozioni di collera, rabbia, abbandono, di impegnarsi nei compiti che gli vengono dati per il piacere di apprendere, cioè di utilizzare ed esercitare la funzione pensiero.
I genitori, che già svolgono una prima funzione identificatoria, vengono ora coscientemente imitati. Identificarsi con il padre e con la madre permette al bambino di sentirsi sicuro nei confronti del mondo esterno, di collegare il suo mondo interno con l’esperienza e di gestire il suo mondo interno: il controllo esterno diventa capacità di autocontrollo. Ma quasi ogni nuova capacità che si sviluppa diventa per il bambino una sfida con se stesso e con il mondo, per ampliare i confini della sua volontà, fino alla grande sfida dell’adolescenza, durante la quale tutti i confini vengono contestati e rimessi in discussione.

 

DAL PRINCIPIO DEL PIACERE AL PRINCIPIO DI REALTÀ: LA VOLONTÀ CONSAPEVOLE

La volontà acquisisce la consapevolezza quando è stato operato il passaggio che la psicanalisi definisce “dal principio del piacere al principio di realtà”. In una prima fase della vita il bambino persegue, cerca e poi chiede solo ciò che appaga il suo istinto, e rifiuta o nega in tutti i modi ciò che lo frustra, e inoltre chiede un appagamento immediato del desiderio. Fino a che è in questa fase si trova dominato dalle energie biologiche, e identificato nel meccanismo dell’arco riflesso: stimolo-risposta, anche qui ricapitolando lo sviluppo della specie e dunque attivando comportamenti di sopravvivenza dei nostri antenati mammiferi.
Passare al principio di realtà significa: poter rimandare la soddisfazione dell’istinto, tollerare la frustrazione, aspettare o mettere in atto strategie per una soddisfazione dell’impulso più sicura e efficace, poter infine scegliere se e quanto rimandare il desiderio, e in quali modi soddisfarlo. Questo comporta l’esperienza cosciente di avere una volontà; in questa operazione infatti il bambino si libera dalla schiavitù del comportamento riflesso, e costruisce uno spazio fra lo stimolo e la risposta: lo spazio dell’Io e della coscienza, che permette la disidentificazione. Se io non sono il mio desiderio, posso decidere se, quando e come appagarlo; la consapevolezza della pulsione e la libertà di decidere che uso farne rendono consapevole anche l’atto volitivo.
Questa capacità si può attivare solo quando è stata conquistata una sufficiente maturazione delle funzioni sentimento e pensiero, che sono funzioni valutative, e della funzione immaginazione. La strutturazione del pensiero simbolico, la capacità di anticipare con la immaginazione eventi del futuro, e una conoscenza del tempo, permettono di rimandare il desiderio e vederlo realizzato nel futuro. Ma è necessario anche apprendere la capacità di inibire le pulsioni.

“… la vita pulsionale … sa procrastinare, attraverso la inibizione, la soddisfazione immediata per quella futura se questa è più stabile e più garantita. Ma per questo occorre un intervallo fra pulsione e azione, quell’intervallo presieduto dalla inibizione che crea lo spazio psichico[6].”

U. Galimberti

L’inibizione, che è un atto volontario, crea lo spazio psichico, che è lo spazio dell’Io, e lo spazio psichico rinforza la capacità di inibizione: identità e volontà. In questa fase la volontà, che fino a questo momento era solo forte, acquista degli elementi di saggezza, perché attraverso l’inibizione rinuncia al raggiungimento immediato dello scopo per un appagamento più certo e più facile.

“La funzione essenziale della volontà sapiente … è l’abilità di sviluppare la strategia più efficace e che richiede il minor sforzo, piuttosto che la strategia più ovvia e diretta … La volontà svolge il suo ruolo più efficace e più soddisfacente non come fonte di forza o di potere diretti, ma come funzione che, essendo al nostro comando, può stimolare, regolare e dirigere tutte le altre funzioni e le altre forze del nostro essere e far sì che ci conducano al traguardo stabilito[7].”

R. Assagioli

Per quanto attiene agli stadi dell’atto di volontà, la conquista della consapevolezza, e quindi la creazione di un intervallo fra stimolo e risposta, consente il passaggio alla fase della deliberazione, nella quale, posta motivazione e meta, possiamo scegliere se ed eventualmente come mettere in moto il nostro comportamento, attraverso una riflessione che comporta una sospensione della spinta motivazionale:

” … per avere lo spazio necessario per pensare, meditare, e poi decidere, dobbiamo tenere in sospeso le tendenze e gli impulsi che ci spingono verso l’azione immediata[8].”

R. Assagioli

 

L’IDENTIFICAZIONE SESSUALE

Mentre la volontà si esprime in modo sempre più individualizzato, dalla volontà di esistere alla volontà di affermazione, anche la personalità del bambino si sviluppa nella direzione di una sempre maggiore differenziazione. Se i neonati, apparentemente, sono tutti molto simili, ogni adulto si manifesta infatti come individuo unico. Una tappa fondamentale di questo processo di differenziazione è la identificazione sessuale.
Intorno ai 4 anni si attivano, per usare una terminologia junghiana, gli archetipi anima e animus; inoltre, superata la fase narcisistica, il bambino inizia ad avere un vero scambio con gli altri, capacità che, come abbiamo visto, lo porta a poter giocare “con” altri, visti non più come una parte simbiotica o come appendici di sé, ma come individui.
Questo attiva una curiosità per le differenze uomo-donna, in primis a livello corporeo, per i rapporti fra i genitori, e una ricerca di identificazione con il genitore di sesso omologo (identificazione che può anche non riuscire), accompagnata da un rapporto simmetrico col genitore dell’altro sesso. Se l’attivazione di questo processo è spontanea, legata ai tempi di manifestazione della personalità, la sua formazione è determinata da vari aspetti:

  • uno probabilmente genetico e biologico, per cui certe attitudini fanno parte del patrimonio di ogni individuo;
  • uno culturale: se fino a tre anni circa il gioco dei bambini e delle bambine è pressoché indifferenziato, dopo questa età (che non a caso coincide con l’ingresso nella scuola materna) più facilmente si orientano i maschi e le femmine verso attività ludiche diverse.

Tutta questa “preparazione” precede la fase cosiddetta edipica, che è un aspetto forte di un cammino verso il consolidamento di una identità (sub-personalità) maschile o femminile più o meno libera da conflitti.

La spinta alla identificazione sessuale è prioritaria rispetto alle sorti della vicenda edipica, e comunque la accompagna e la motiva, e quando i genitori facilitano questa esperienza il bambino o la bambina raggiungono una piena e stabile identificazione nel proprio ruolo e un orientamento verso una scelta di oggetto eterosessuale. Non quindi identità sessuale come risultato delle vicende edipiche, ma ricerca di una identificazione sessuale come “motore” delle fantasie e delle vicende edipiche: una “sperimentazione” a essere come il padre o come la madre e prenderne il posto nella relazione con il genitore dell’altro sesso. Importante è che il genitore dello stesso sesso cerchi e crei, a partire da questa età, spazi differenziati e quasi simbolici che aiutino il figlio a sviluppare il suo “femminile” o il suo “maschile”.
Nella pre-adolescenza poi c’è un ulteriore consolidamento della identità sessuale, attraverso la frequentazione esclusiva di compagni dello stesso sesso e quasi l’evitamento di compagni dell’altro sesso; in questa fase entrambi i sessi estremizzano le loro caratteristiche di genere, per poi incontrarsi nell’adolescenza guidati dalla attrazione sessuale per quello che è ormai definito stabilmente come l’altro sesso. Disturbi nella identificazione sessuale emergono in questo periodo, come consapevolezza di avere una attrazione per lo stesso sesso.

 

FASE EDIPICA

Si fa riferimento qui a una fase edipica piuttosto che alla più nota definizione di complesso, intendendo con ciò che nella naturale evoluzione psichica il bambino sperimenta o può sperimentare un particolare legame con il genitore di sesso opposto, anche accompagnato da curiosità e fantasie, senza che questo dia luogo a una costellazione nevrotica, mentre il termine “complesso” fa riferimento a un insieme di elementi, a forte carica emotiva, che facilmente tendono a sfuggire alla coscienza.
La psicanalisi, che per prima ha studiato questa fase, in linea con la sua impostazione e con la sua concezione dell’evoluzione, ne sottolinea e accentua la componente sessuale unitamente alla sua inevitabilità, e, come è noto, ritiene l’edipo il “complesso dei complessi”.
Freud lo chiama precisamente “nostro inevitabile destino” (Introduzione alla psicanalisi, p. 187).

“Come Edipo, nessuno può sfuggire al destino di uccidere il padre e accoppiarsi con la madre, pur se solo nella fantasia o nei sogni … La prima scelta oggettuale degli esseri umani è sempre incestuosa … e occorrono i più severi divieti per trattenere dall’attuazione questa persistente inclinazione infantile.”

(S. Freud, op. cit., p. 301 ).

E ancora:

“… la natura erotica del legame con la madre è garantita contro ogni dubbio. In sintesi, l’attrazione per il genitore del sesso opposto è una attrazione sessuale, è inevitabile, e verrà superata solo dalla interiorizzazione del divieto. Nella tragedia di Edipo, il potere del desiderio infantile inconscio è potente come quello di una divinità: sia la volontà divina che l’oracolo, quali elevati travestimenti del proprio inconscio.”

(S. Freud, op. cit.) .

L’importanza centrale data dalla psicanalisi a questo complesso, sta anche nel fatto che da esso si sviluppano il complesso di castrazione, l’invidia del pene, e la struttura del Super Io, ma soprattutto l’identificazione sessuale.
Nel modello psicosintetico è diversa la visione della sessualità infantile. In un articolo del 1931, Assagioli osserva che la professione di neuropatologo ha portato Freud a dare una eccessiva importanza al lato inferiore e istintivo della sessualità “facendo invece troppa piccola parte alle manifestazioni superiori dell’amor”. E inoltre, riguardo allo studio della sessualità infantile, “non ha tenuto conto delle grandi differenze esistenti fra i fanciulli normali e quelli predisposti alla nevrosi”.
A queste osservazioni potremmo anche aggiungere una riflessione sulle caratteristiche della società in cui si è sviluppata la psicoanalisi, e in particolare sui rapporti parentali, che, soprattutto nelle classi agiate, erano estremamente formali, distaccati e al cui interno gli scambi affettivi erano facilmente oggetto di tabù.
Bisogna anche tenere conto del più ampio contesto culturale nel quale si sviluppa il concetto di un complesso edipico: come ai tempi dei miti greci, così l’epoca in cui si è sviluppata la psicanalisi è dominata dal patriarcato. Gli uomini detengono il potere, e fanno di tutto perché i figli li imitino o comunque non mettano in discussione la loro autorità: in qualche modo in una cultura patriarcale i padri, come Crono, fagocitano i figli (Bolen, p.35). Freud considera Laio una vittima. Nella mitologia, la razionalizzazione che giustifica l’uccisione dei figli da parte dei padri è per tramite di una profezia: una moderna formulazione psichiatrica direbbe “per una idea paranoie”, e la psicologia junghiana “per la proiezione di un’ombra”.

Nella nostra società, e in un’ottica centrata sull’individuo e non solo sullo sviluppo delle pulsioni, come già sottolinea Baudouin, la fase edipica è una situazione normale che non può di per sé preparare una nevrosi, se non in situazioni particolari: il complesso edipico è l’eccezione e non la regola. Intorno ai 4 anni, i bambini possono manifestare una particolare attrazione per il genitore di sesso opposto, ma questa attrazione non ha un’energia di tipo sessuale.
Assagioli sottolinea che

“fisicamente prima della pubertà gli organi sessuali non sono sviluppati quindi bisogna cercare l’origine della sessualità infantile nel campo psichico. (suggestioni degli adulti, reviviscenze ataviche)[9].”

In alcuni casi la fase edipica genera un complesso, e di conseguenza una sub-personalità patologica; in primis quando i genitori escludono i figli dal loro spazio, o per trascuratezza, o per problemi di potere e rivalità. Al complesso di Edipo si allineano il complesso di Laio o di Saturno, e, per le bambine, il complesso di Grimilde, la matrigna di Biancaneve.

Nelle fiabe la matrigna incarna l’aspetto materno persecutorio: quando la madre teme la competizione con la figlia, non le permette la condivisione del femminile e la esclude a livello affettivo. Lo stesso vale per il padre nei confronti del figlio maschio, quando vuol mantenere la supremazia sul piano della forza-potere. In questo periodo storico, in cui la giovinezza e la cura del corpo sono mitizzate, questa rivalità fra genitori e figli può essere molto frequente.
Un altro fattore che può ostacolare il normale svolgimento della fase edipica, è l’erotizzazione del rapporto da parte di un genitore. Ma il più importante fattore per la formazione di un complesso, è la distanza affettiva genitori-figli: se i genitori si isolano eccessivamente come coppia, facendo sentire il figlio escluso, le naturali curiosità del bambino diventeranno eccessive, morbose, ma soprattutto se vive i genitori come estranei il suo desiderio di contatto fisico e di amore verrà sentito come colpevole e incestuoso.

“Si può dire a ragione che la madre che abbandona il figlio diventa una estranea, così come il padre che si comporta allo stesso modo … Quando manca un rapporto intimo precedente, ma c’è solo un rapporto di estraneità, con questo ‘estraneo’ si possono avere fantasie sessuali o pensieri di rivalità: è questo il punto essenziale, il nucleo del discorso edipico. Il fatto veramente edipico è l’abbandono[10].”

Bruno Caldironi

Sono queste particolari risposte dei genitori (competizione, freddezza, esclusione, seduzione) che alimentano nel bambino sentimenti di aggressività, rivalità, invidia e sensi di colpa, che non sono il “nostro inevitabile destino”. Nello sviluppo normale, il bambino cerca in questa fase solo le occasioni per sviluppare in armonia le sue parti maschili e femminili, presenti fin dalla nascita e pronte per articolarsi in ruoli ben definiti.

 

ADOLESCENZA

È una fase determinante per lo sviluppo della volontà, che ora si afferma con particolare forza come autoaffermazione di sé e come opposizione alle figure familiari, al contesto sociale, a tutto ciò che forma l’ordine costituito. Da un punto di vista del cammino dell’umanità, l’adolescenza rappresenta in ogni generazione le forze della creatività e del rinnovamento, che attraverso il conflitto con la generazione precedente impediscono la stagnazione, la stasi e promuovono il progresso.
La funzione mentale completa il suo sviluppo con l’acquisizione del pensiero ipotetico-deduttivo; si possono fare progetti e valutarne le conseguenze. Si sviluppa anche la funzione intuitiva, e si completa la conoscenza delle leggi morali. Questi cambiamenti portano a un grande idealismo e a una forte spinta verso il futuro e il progetto. In questo periodo, insieme a questi cambiamenti, possono anche presentarsi per la prima volta parti psichiche ereditate e fino a questo momento silenti.
Anche il corpo cambia velocemente, acquisisce i caratteri sessuali secondari. Se la fase edipica non ha incontrato difficoltà di relazione, si consolidano ora ruoli sessuali precisi e un’effettiva attrazione, che ora contiene una energia sessuale, per l’altro sesso.

Inoltre, grazie alla maggior libertà di movimento, si possono contattare situazioni nuove, anche molto lontane da quelle del mondo familiare o sociale finora conosciuto.

L’atto di volontà è potenzialmente completo: dal proposito all’attuazione, ma con una particolare enfasi per la fase della scelta, e in questo senso può presentarsi un momento critico per il senso di identità, che con la volontà coincide. Chi sono io, chi voglio essere, cosa voglio diventare: inizia a diventare cosciente il progetto di un modello ideale, spesso legato a una vera sperimentazione che può portare il giovane a cambiare in breve tempo abbigliamenti, comportamenti, interessi, talvolta anche cercando espressioni di sé originali o estreme. Poiché le scelte appaiono pressoché infinite, c’è un particolare interesse e una sperimentazione di questa fase dell’atto volitivo, e una certa difficoltà nella direzione dell’esecuzione che può apparire dall’esterno una mancanza di volontà. Solo la fine dell’adolescenza permette in realtà scelte definitive.
La necessità di individuarsi rispetto alla famiglia è fondamentale, e lo scontro generazionale è necessario per l’acquisizione di confini personali; il distacco dalle figure genitoriali si deve completare, per lasciare il posto a un rapporto affettivo fra persone. Se in passato ci sono stati atteggiamenti educativi troppo rigidi nei confronti degli adolescenti, non è migliore l’atteggiamento più recente che vede molti genitori cercare un rapporto alla pari con i figli o addirittura un confronto amichevole; perché l’identità possa svilupparsi e esprimersi, la personalità deve trovare uno spazio fra sé e le figure di riferimento, e deve avere la possibilità di differenziarsi dagli adulti di riferimento. La personalità, che ha avuto bisogno della dipendenza per iniziare a formarsi, può ora completare il suo sviluppo guidata dal contatto Io-Sé, nella direzione della propria autorealizzazione.
In questa dinamica, un tempo la tensione era fra il desiderio, la pulsione, e la norma. Il risultato poteva essere un conflitto, con conseguente senso di colpa, e questa è una struttura nevrotica. Ora la bipolarità si è spostata: poiché le norme sono molto elastiche e quasi tutto è permesso, il conflitto è fra quello che voglio e quello che posso fare. La tensione è spinta ai limiti delle potenzialità, dell’efficienza, del successo. Il pericolo è che una cattiva abitudine alla gratificazione dei desideri non alleni i giovani a una vera capacità di scelta, che implica una capacità di inibizione, e renda più debole la volontà.

 

LA FORMAZIONE DELLE SUB-PERSONALITÀ

La formazione delle sub-personalità inizia dalla nascita, o meglio dal concepimento. Le sub-personalità sono il risultato della tendenza degli elementi psichici ad associarsi e formare strutture.

Questi elementi psichici comprendono:

  • Elementi genetici ereditati dall’appartenenza a una certa razza;
  • Elementi genetici ereditati dalla famiglia di appartenenza;
  • Tipologia e talenti personali, patrimonio individuale già presente alla nascita, concernenti la sfera conoscitiva (sensazioni, immagini), quella emotiva (passioni, sentimenti) e quella attiva (pulsioni, impulsi).

Questo “corredo” personale si incontra fin dal momento della nascita con elementi provenienti dal mondo esterno, che costituiscono l’esperienza.

Ogni individuo organizzerà le sue sub-personalità in base a diversi fattori:

  • Le sue risorse e caratteristiche personali;
  • Le esperienze nel mondo;
  • Le strategie che ha potuto mettere in atto con le sue particolari tendenze in quelle specifiche esperienze;
  • I modelli rispetto ai quali può mettersi in una posizione di imitazione o di opposizione.

Le sub-personalità più strutturate e stabili si formano nei primi anni di vita quando la psiche è più sensibile e la consapevolezza minore. Abbiamo già detto che una sub-personalità depressiva pone le sue fondamenta nei primi mesi di vita, dall’esperienza di non sufficiente attenzione da parte della madre. Ma già la “non sufficienza” è un concetto relativo, entro certi limiti. Se trascuriamo gli estremi, ad esempio i neonati istituzionalizzati alla nascita, ogni bambino ha il suo bisogno di accudimento e quindi una sua soglia di abbandono.
Bambini che hanno un temperamento più tranquillo, più passivo, sentono come sufficiente la presenza dell’adulto che per altri sufficiente non è; questo poi viene complicato dal fatto che bambini di temperamento più attivo, più nervoso, sono più impegnativi, mettono alla prova le madri che possono più facilmente sentirsi impotenti e irritate. Si attivano così catene diverse di affetti e di comportamenti che daranno luogo a sub-personalità diverse.
Bambini che hanno una tipologia fortemente sensoriale sono frustrati da una famiglia di tipo razionale, normativo, molto di più di un bambino che abbia una tipologia più mentale. Sub-personalità di tipo super-egoico, più forti e devastanti, non sono caratteristiche di persone che hanno avuto genitori particolarmente severi, ma di coloro che sono stati bambini tendenzialmente esuberanti, con forti istinti, tali che ogni limitazione è stata una insopportabile pressione.
Dalla capacità degli educatori di tenere o meno la giusta distanza dal bambino, facendosi guidare dalla capacità empatica, si formano alcune importanti sub-personalità relative all’area della fiducia-sfiducia.
Una protezione eccessiva per quel bambino in quel momento può formare complessi energetici inibitori, mancanza di autostima, o sub-personalità fortemente reattive.
Un eccessivo “lasciar fare”, attuato prima che il bambino sia pronto a utilizzare la sua autonomia, può contribuire alla formazione di sub-personalità abbandoniche: bambini ai quali viene data molta autonomia molto presto, come spesso succede in aree più socialmente svantaggiate, più che indipendenti sono soli, e al di là di un comportamento “adultizzato” che può trarre in inganno, o della sicurezza spesso ostentata, nascondono sub-personalità depressive che spesso sono il volto nascosto del comportamento deviante.
Un momento importante è quello edipico, dalle cui sorti si strutturano le più importanti sub-personalità che riguardano l’essere uomo o donna.

 

BIBLIOGRAFIA

ASSAGIOLI R. (1973), L’atto di volontà, Astrolabio, Roma 1977.
ASSAGIOLI R. ( 1965), Principi e Metodi della Psicosintesi Terapeutica, Astrolabio, Roma 1973.
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ASSAGIOLI R., Le idee di Sigmund Freud sulla sessualità, dispensa poligrafata dell’Istituto di Psicosintesi.
ASSAGIOLI R. (1991), Comprendere la psicosintesi, a cura di M.L. La Macchia Girelli, Astrolabio, Roma.
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WICKES F.G. (1931), Il mondo psichico dell’infanzia, Astrolabio, Roma 1948.

 

[1] Roberto Assagioli, Educare l’uomo domani, Istituto di Psicosintesi, Firenze.
[2] Roberto Assagioli, Comprendere la psicosintesi, a cura di M.L. Macchia Girelli, Astrolabio, Roma 1991.
[3] F.G. Wickes (1931), Il mondo psichico dell’infanzia, Astrolabio, Roma 1948.
[4] Roberto Assagioli, Educare l’uomo domani, p. 64.
[5] Roberto Assagioli, Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma 1973.
[6] Umberto Galimberti, 1999, p. 188.
[7] Roberto Assagioli, 1973, pp. 41-42.
[8] Roberto Assagioli, 1973, p. 114.
[9] Roberto Assagioli, Educare l’uomo domani, p. 76
[10] Bruno Caldironi, p. 193.