Rivista di Psicosintesi Terapeutica – Anno XI, Numero speciale 21-22, Marzo-settembre 2010
POLARITÀ E SINTESI DEGLI OPPOSTI: PRINCIPIO E TECNICA
di Anna Maria Finotti
Psicologa, psicoterapeuta e didatta della Società Italiana di Psicosintesi Terapeutica (SIPT), Bolzano
Indirizzo per la corrispondenza: annamariafinotti@alice.it
The principle of polarity, as a dynamic principle acting on all levels, personal and universal, turns out to be the core of life. Always accepted by Eastern cultures, it was, on the contrary, excluded from Western thought by Aristotle in deference to the principles of non-contradiction and of the third excluded; this allowed on one hand the development of philosophy and science, but on the other, it also moved the West from a wider and more intuitive vision of reality. Psychology had to take note of polarity in its approach to the unconscious, whose primary characteristic turned out to be the absence of mutual contradiction, according to Freud. Jung introduces enantiodromia as a psychic law, whereas Assagioli defines the concept of polarity as the most important secret that is continually applied throughout life. Based on this theme, Psychosynthesis develops the hereby proposed technique, which seems to be one of its most important contributions in the field of psychotherapy. Once ambivalence is recognized as a normal condition, it becomes a valuable means of transformation. It fosters the healing of inner divisions and the withdrawal of projections, thus revealing itself to be an indispensable step in the activation of the process of self-realization.
Key words: principle of polarity, enantiodromy, synthesis of polarity, psychosynthesis.
Il principio di polarità è principio dinamico, che agendo a tutti i livelli, sia personali che universali, si rivela essere la cifra stessa della vita. Presente nelle culture orientali è stato da Aristotele in poi escluso dal pensiero occidentale in ossequio al principio di non contraddizione e del terzo escluso, che ha permesso lo sviluppo della filosofia e della scienza, allontanando però l’Occidente da una visione più ampia e intuitiva della realtà. Della polarità ha dovuto prendere atto la psicologia nel suo approccio all’inconscio, la cui caratteristica primaria risultò evidente a Freud essere “l’assenza di contraddizione mutua”. Jung riconosce come legge psichica quella di enantiodromia, mentre Assagioli definisce il concetto di polarità come “il più importante segreto della vita di continua applicazione”.
Su questa tematica la Psicosintesi sviluppa una tecnica che qui viene proposta e che appare essere uno dei suoi contributi più importanti nel campo della psicoterapia. Poiché una volta riconosciuta l’ambivalenza come stato di normalità, essa favorisce la guarigione delle divisioni interiori e il ritiro delle proiezioni, rivelando così di essere un passo indispensabile nell’attivazione del processo di autorealizzazione.
Parole chiave: principio di polarità, enantiodromia, sintesi della polarità, psicosintesi
“Ciò che è opposto concorda
e dai discordi l’armonia più bella.”
Eraclito
Lo scritto di Assagioli L’equilibramento e la sintesi degli opposti, nonché il paragrafo de L’Atto di volontà intitolato Il principio e la tecnica della sintesi, integrati con alcune note conservate nell’Archivio, ad una lettura meditata, nonostante l’apparente limitatezza del loro sviluppo, si rivelano essere uno dei contributi più originali della Psicosintesi nel campo della psicoterapia.
Ma non solo: il concetto di polarità viene addirittura definito da Assagioli come “una delle chiavi più utili per la comprensione di noi, degli altri, dei rapporti reciproci, dei popoli, delle epoche, dei cicli… nonché la guida per prendere la giusta posizione e il più importante segreto della vita di continua applicazione” (A. 28,5/6). Quest’ultima affermazione “il più importante segreto della vita” esalta l’importanza di questo principio, che si rivela essere come vedremo la forma stessa della vita, non solo per come essa si rivela sul nostro pianeta, ma anche, per quanto ne sappiamo, a livello universale. Esso sottostà infatti a tutta la manifestazione, per cui ogni cosa che esiste, ogni fenomeno, ogni evento ha il suo opposto. Tutto è duplice, tutto è bipolare, come se l’Uno si fosse scisso in due e nostro compito fosse quello di mettere in relazione i due per ritrovare l’Uno, onde attivare un processo creativo attraverso un’operazione di sintesi continuamente rinnovata tra unità e molteplicità, estremi con cui ci dobbiamo permanentemente confrontare.
Il concetto stesso di energia presuppone il principio di polarità, in quanto non c’è energia se non esiste una differenza di potenziale, per cui una visione dinamica anche della vita psichica presuppone di per sé differenze di potenziali date da molteplici coppie di opposti, che si esprimono ai vari livelli della personalità, sia fisico che emotivo, mentale e intuitivo, nonché a livello interpersonale, quando consideriamo la sua dimensione relazionale. Il processo di crescita, di evoluzione della nostra personalità dipende infatti dalla dinamica tensione tra molteplici polarità, per le quali è necessario trovare livelli di sintesi via via più differenziati: corpo-psiche, conscio-inconscio, attività-passività, introversione-estroversione, attrazione-rifiuto, emotività-razionalità, aggressività-amore, istintualità-spiritualità, maschile-femminile, Io-personalità, Io-Tu (anche all’interno del rapporto terapeutico), Io-Sé nel percorso transpersonale e via dicendo.
Sul piano fisico, il nostro corpo stesso presenta a livello anatomico uno schema duale, sia nel suo aspetto esterno che interno, mentre su quello fisiologico, l’esperienza fondamentale della polarità è data dal respiro: quando noi inspiriamo ne deriva con assoluta certezza, come polo opposto, il movimento di espirazione. E perché ci sia vita, a questa espirazione deve seguire una nuova inspirazione, con una alternanza ritmica. Da ciò deriva che la legge di polarità porta con sé quella del ritmo come modello base di tutta la vita. Il ritmo consiste sempre di due poli, non è quindi un o-o, ma un e-e: un polo produce l’altro, se nego un polo nego anche l’altro, ognuno vive dell’esistenza dell’altro. Sempre a livello fisiologico, altre funzioni vitali di segno opposto sono quelle cardiache di sistole e diastole, l’alternarsi dello stato di veglia e di sonno, l’interazione del sistema nervoso simpatico e parasimpatico, che presiedono ai processi di anabolismo e catabolismo e così via. L’interazione di tutte le funzioni metaboliche garantisce la salute, l’alterazione di esse ci conduce verso la malattia.
Sul piano mentale, il prodursi del nostro pensiero dipende dallo scambio energetico dell’emisfero sinistro con quello destro del cervello, da cui conseguono il pensiero logico-analitico e quello intuitivo-sintetico, che determinano i processi razionali deduttivi e induttivi.
Ma anche la vita sul nostro pianeta è legata all’alternarsi di luce e tenebre, mentre a livello cosmico il moto della terra intorno al sole dipende dall’equilibrio di due forze opposte, quella centripeta e quella centrifuga: una rottura se pur minima di questo equilibrio sfascerebbe il sistema sole-terra. Così avviene per quegli immensi aggregati di stelle che chiamiamo galassie e così per l’atomo, la cui vita è data dalla interazione tra cariche elettriche opposte, positive nel nucleo, negative negli elettroni. Dal microcosmo al macrocosmo il principio regolatore appare quello di una tensione dinamica tra forze di segno opposto, da cui dipende l’equilibrio del tutto.
Il pensiero occidentale, in particolare con Eraclito e con la scuola presocratica, aveva intuito che la lotta dei contrari è l’essenza della vita, la sua armonica realizzazione, che i contrari sono strettamente legati uno all’altro dalla loro stessa opposizione, che diventa complementarietà. Infatti solo dal reciproco rapporto, ognuno di essi può acquistare valore e significato, come il giorno lo acquista dalla notte, il caldo dal freddo, l’alto dal basso, il pari dal dispari, l’ordine dal disordine e via dicendo. Che sarebbe il caldo, avulso da ogni rapporto con il suo contrario, il freddo? Come potremmo esprimere una misura, se non riferendoci al suo opposto, anche in tutti i vari gradi intermedi? Ogni contrario, dice Eraclito, “vive la morte dell’altro, mentre l’altro muore la vita del primo: il freddo diventa caldo e il caldo si raffredda, l’umido si secca e il secco diventa umido”. Saggezza è quindi aprirsi a una visione complessiva della realtà, così da avvertirne la profonda armonia, che si attua attraverso la tensione dialettica degli opposti.
Ma l’intuizione di Eraclito, che attraverso la scuola presocratica arriva fino a Platone, si perde nella storia del pensiero occidentale, che da Aristotele in poi si fonda sul principio di non contraddizione e del terzo escluso, che stabilisce l’identità di ogni cosa con se stessa, nonché sul principio di causalità, da cui deriva l’ordine rigoroso delle sue relazioni. Principi logici che permetteranno lo sviluppo del pensiero filosofico e scientifico, allontanandolo però da una visione più ampia e intuitiva della realtà. Il tema della polarità, oscurato dall’aristotelismo e dal tomismo, torna però a riaffiorare come un fiume carsico nell’umanesimo di Nicola Cusano e Giordano Bruno per perdersi di nuovo nell’epoca del razionalismo cartesiano, da cui nasce l’illuminismo, e di nuovo riapparire nell’idealismo tedesco. Hegel rifiuterà il principio di non contraddizione aristotelico in nome del carattere contraddittorio di ogni realtà, che si sviluppa in maniera dialettica attraverso un movimento triadico, che va da una tesi alla sua negazione, cioè alla antitesi e di qui a una sintesi, che costituisce il superamento di entrambe.
Della polarità ha dovuto prendere atto anche la psicologia, quando ha cominciato a interessarsi del mondo dell’inconscio. Sappiamo che il primo sistematico esploratore di esso è stato Freud, che, nel formulare le caratteristiche di funzionamento del sistema inconscio, ha posto al primo posto l’assenza di contraddizione mutua, per cui “i contrari non vengono tenuti separati, ma anzi vengono trattati come identici, ragione per cui nel sogno ciascun elemento può anche significare il suo opposto. Alcuni glottologi hanno scoperto che questo si verificava anche nelle lingue più antiche, nelle quali coppie di contrari come forte-debole, chiaro-scuro, alto-profondo venivano espresse con la stessa radice” (Compendio 1938 in Opere XI, pp. 595-96).
Matte Bianco nel suo studio L’inconscio come insiemi infiniti, comparso in edizione italiana nel 1981 e affrontato utilizzando una lettura logico-matematica, conferma non senza qualche esitazione questa caratteristica e dichiara di essere arrivato dopo anni d’incertezza alla sua formulazione, in quanto “sebbene la sospensione del principio di contraddizione sembri non solo un legittimo, ma un inevitabile corollario del principio di simmetria, una volta postulato, si apre davanti a noi un mondo ‘logico’ completamente nuovo” (op. cit., p. 52).
Le stesse resistenze e le stesse esitazioni sono state, a maggior ragione, anche quelle degli scienziati, che comunque da Einstein in poi ci dicono che esiste una equivalenza tra materia ed energia e, a livello subatomico, tra corpuscolo ed onda, che appaiono aspetti della stessa realtà, complementari tra di loro. Questa natura duale è propria anche della luce, che è il fenomeno più immateriale che ci è dato di sperimentare. Cogliere l’uno o l’altro dei due aspetti dipende dalla prospettiva in cui ci poniamo, secondo la quale possiamo leggere la realtà da un punto di vista statico oppure dinamico. L’impostazione positivistica della scienza, nel suo sforzo di arrivare a una valutazione oggettiva dei fenomeni, l’ha esclusa da una visione dialettica degli stessi, che ora sembra si stia recuperando. Perché è proprio in questo modo logico completamente nuovo per l’Occidente che si aprono nuovi orizzonti di lettura del nostro mondo e della nostra vita. L’Oriente infatti, estraneo alla nostra storia, è rimasto aperto nel suo pensiero e nella sua cultura al principio della polarità, già presente nel taoismo cinese, che risale all’epoca contemporanea a quella di Eraclito. Esso lo evidenzia nel dinamismo del simbolo del Tao, in cui l’interazione energetica dello yang e dello yin assicura il permanente divenire della vita.
“Odi et amo.
Quare hoc faciam fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.”
Catullo
La letteratura mondiale del presente e del passato è ricca di esempi, che ci ripropongono nelle storie personali dei protagonisti l’interna e dolorosa contraddizione dei sentimenti, che tessono le nostre vite; come Catullo che si tormenta, bloccato tra odio e amore, senza poterne afferrare il perché.
Ma risultando il principio di contraddizione essere proprio del linguaggio dell’inconscio, con esso si è incontrata tutta la prima scuola psicanalitica, che nella osservazione clinica ha rilevato la presenza simultanea nella relazione con uno stesso oggetto di tendenze, sentimenti e giudizi opposti. A tale polarità psichica, che presuppone atteggiamenti contrari, Bleuler ha dato nel 1910 il nome di ambivalenza, distinguendola in affettiva e intellettuale, e Stekel nel 1911 ha parlato di “bipolarità insita in tutti i fenomeni psichici”. Per Bleuler, l’ambivalenza gioca un ruolo determinante nella genesi delle nevrosi ed è uno dei più significativi sintomi della scissione dell’Io, che caratterizza la schizofrenia. Freud riprese il concetto di ambivalenza affettiva per indicare sopratutto la coesistenza in uno stesso soggetto di sentimenti di amore e odio nei confronti di un oggetto, ma usa lo stesso termine anche a proposito della coppia di opposti passività-attività in Pulsioni e loro destino del 1915.
La Klein, riallacciandosi agli studi di Abraham, osserva che questo fenomeno è presente nella normale evoluzione della libido nel bambino nelle fasi sia orali che anale, soprattutto nel momento della comparsa dell’aspetto sadico, e all’interno della situazione edipica nella fase genitale, come postulato anche da Freud. La Mahler conferma questi concetti, mettendo l’ambivalenza in relazione con la nascita dell’oggetto e considerandola uno degli aspetti del processo di individuazione-separazione.
Jung nella sua Energetica del 1928 introduce come legge psichica quella di enantiodromia, termine mutuato da Eraclito che significa “corsa nell’opposto”, che rimanda alla legge universale di compensazione, tesa a bilanciare qualsiasi sistema in funzione del suo equilibrio e ad essa dedica larga parte della sua riflessione. Ma anche Freud nel 1926 in Inibizione, sintomo e angoscia tendeva ad accrescere l’importanza dell’ambivalenza nel trattamento e nella teoria del conflitto, per cui la formazione dei sintomi nevrotici era già vista come un tentativo di apportare una soluzione all’ansia determinata da tale conflitto.
Assagioli si inserisce con i suoi scritti in questo dibattito (e sarebbe interessante poter datare le prime riflessioni sull’argomento), dandogli subito un respiro più ampio, parlando da un lato di “legge universale di polarità” e dall’altro, col pragmatismo che lo distingue, chiedendosi come rendere funzionante questo principio, al di là della teoria, all’interno della personalità e alla luce del modello psicosintetico. Egli, dopo aver affinato che è “un principio da ben chiarire e scoprire”, distingue subito tra polarità orizzontale, che definisce vera polarità, in quanto si tratta di energia della stessa natura e genere, che si manifesta a gradi di intensità diversi e polarità verticale, che mette a confronto energie differenti per genere e qualità. A questo proposito scrive al Keyserling, che si occupava dell’argomento da un punto di vista filosofico, in una lettera del 14 agosto 1938: “Si potrebbe dire che la polarità in senso stretto è un rapporto tra poli esistenti sullo stesso piano e quindi ‘orizzontale’, mentre quello tra Spirito e Materia, tra Immanifesto, Incondizionato, Trascendente e Manifestazione, Espressione è un rapporto qualitativamente diverso, ‘verticale'” (Archivio 28, 5/6).
Questo chiarimento se ne tira dietro un altro, su cui Assagioli insiste, che è quello della integrazione orizzontale, che chiama compromesso e di quella a livello verticale, che chiama sintesi, sottolineando la loro differenza, analoga a quella che esiste tra miscuglio e combinazione nella chimica; dove il miscuglio non prevede la trasformazione delle sostanze che lo compongono, che permangono le stesse, mentre la combinazione prevede una sintesi, che dà origine a un nuovo prodotto. Sul piano psicologico il compromesso è il permanere del conflitto tra i due opposti sullo stesso piano senza che avvenga alcun superamento, in quanto si prevede la “neutralizzazione” dei due poli. Per cui esso può rappresentare uno stadio intermedio, ma, se non viene superato, rischia di diventare arresto nel processo evolutivo. La sintesi, data da una permanente interazione dei due poli che dà origine a una nuova modalità espressiva, prevede il superamento del conflitto stesso attraverso lo spostamento del livello della coscienza. Queste osservazioni ci permettono di capire che non si arriverà a una vera sintesi verticale, se prima non mettiamo a confronto e integriamo gli opposti a livello orizzontale per poterli trascendere verticalmente. Questo è da tenere presente sia in una psicoterapia che in un percorso di auto-formazione, onde evitare fughe anticipate nel transpersonale, che è un pericolo insito nell’approccio psicosintetico.
Quanto abbiamo detto ci permette anche di chiarire un terzo punto, cioè la differenza tra sublimazione e trasmutazione, che sono termini che Assagioli usa in genere associati: la sublimazione è il processo trasformativo che avviene a livello orizzontale di una sostanza che, cambiando stato, permane se stessa, come ad esempio la naftalina, che da solida diventa aeriforme. Per contro la trasmutazione è il processo trasformativo che avviene in verticale con un cambiamento di potenziale, con un salto di qualità, che ci sposta su un altro piano energetico e corrisponde a uno stato di coscienza più alto, che ci permette di diventare “altri”, come “altro” è l’acqua rispetto all’idrogeno e all’ossigeno che la compongono.
Il processo della trasformazione in funzione della sintesi è peraltro complesso e prevede che come terapeuti abbiamo maturato una consapevolezza interiore su alcuni punti che vale la pena ricordare, tra cui:
- che coscienza e inconscio stanno in un rapporto di reciproca compensazione, per cui il processo di liberazione interiore consiste nel permettere ad aspetti inconsci di varcare la soglia del campo della coscienza, vietata dalle resistenze e da meccanismi di difesa di vario tipo. Tenendo presente che nell’ottica psicosintetica l’inconscio personale si rivela su tre livelli, a cui è da aggiungere quello dell’inconscio collettivo;
- che l’energia psichica scorre tra due polarità definibili attraverso molteplici coppie di opposti che si manifestano sui vari piani, fisico-istintuale, emotivo-affettivo, mentale-razionale, intuitivo-spirituale;
- che tutti gli opposti sono polari, aspetti differenti dello stesso fenomeno, parti estreme di un tutto unico, doppia faccia della stessa realtà, livelli di vibrazione diversi sullo stesso piano energetico, come ad esempio il caldo e il freddo che definiscono la temperatura o l’amore e l’odio che esprimono un sentimento;
- da ciò deriva che entrambi i poli sono necessari e si equivalgono e che il giudizio di valore che diamo nei confronti di una polarità dipende dal punto di vista con cui valutiamo l’altra polarità;
- che anche le funzioni dell’Io si manifestano per coppie antitetiche come rivela il diagramma che le descrive;
- che l’Io stesso si presenta con due volti, quello statico della consapevolezza e quello dinamico della volontà;
- che l’Io e il Sé sono la coppia con cui ci confrontiamo a livello verticale nella fase della psicosintesi transpersonale, quando maturiamo la comprensione che l’Io sostituisce temporaneamente il Sé come centro della personalità, ma che entrambi gli aspetti sono indispensabili alla più ampia espressione della nostra umanità;
- che là dove emerge una polarità nei confronti della quale è più forte l’identificazione è opportuno chiederci sul piano terapeutico quale può essere l’opposto negato per ipercompensazione del suo contrario, poiché questo risulta molto utile per accelerare il lavoro sulle sub-personalità;
- che, per concludere, un fenomeno non va mai considerato nella sua identità statica, ma che dobbiamo sempre cercare di coglierlo in termini dinamici come frutto dell’interazione tra due estremi.
“Abbassa la luce,
diventa tutt’uno col mondo opaco.”
Lao-tzu
Dopo le precedenti considerazioni se, tenendo presente il tema della polarità, alziamo il sipario del nostro teatro interiore, la scena improvvisamente si anima e potremmo incontrare la vittima che nasconde il tiranno, il ribelle a cui si contrappone il succube, il rigido che non sa di essere l’altra faccia dell’avventuriero, la donna amazzone che copre la ‘puella’ che ha paura di crescere, il perfezionista che tiene prigioniero il creativo, l’altruista in lotta perenne con l’egoista in un dinamico e spesso angosciante conflitto interiore. Il concetto della coincidentia oppositorum in Assagioli diventa tecnica consapevole di sintesi, che prevede secondo il significato originario del vocabolo greco, l’abilità e l’arte di attivare alcuni passaggi utili allo scopo.
- Il primo prevede la fase della osservazione, cioè dell’analisi come momento conoscitivo: diventare consapevoli delle nostre ambivalenze è un’azione coraggiosa, che spesso preferiamo evitare, pagando piuttosto con la sofferenza di un sintomo e di una auto-realizzazione mancata. Spesso una delle nostre polarità viene negata per evitare all’Io una ferita narcisistica e a questo scopo entrano in azione meccanismi di difesa di vario tipo, che tendono a potenziare, enfatizzandola, l’altra polarità. Per restare negli esempi fatti, possiamo dire che la sub-personalità del ribelle diventa tanto più attiva quanto più tende a difendersi da quella del succube o che il rigido accentua la sua rigidità quanto più teme di dover ammettere il suo bisogno di libertà come il tiranno rincara il suo dispotismo quanto più è angosciato dall’idea di doversi riconoscere vittima o il puritano accentua il suo moralismo per non riconoscere le pulsioni trasgressive che porta in sé. Alla stessa maniera il processo di estroversione viene potenziato con un iperattivismo spinto per paura del momento di introversione, in cui siamo costretti ad incontrarci con aspetti negati di noi stessi, mentre un intellettualismo rigido diventa difesa nei confronti di un’apertura al mondo emotivo, che appare sempre destabilizzante. E ancora il cinismo e la banalizzazione in questa ottica si rivelano la barriera che innalziamo contro l’ansia di dover riconoscere una dimensione superiore, quando il polo negato è un aspetto dell’inconscio transpersonale, che preferiamo non considerare. Perché come ci difendiamo dai contenuti dell’inconscio inferiore altrettanto facciamo con quelli dell’inconscio superiore, utilizzando gli stessi meccanismi di difesa per oscurare il “divino” che è in noi, gli aspetti più alti della nostra personalità, svalutando i bisogni di significato e di trascendenza che li sostengono.
- In seguito si tratta di individuare il polo negato, il che significa abbattere le resistenze e riconoscere i meccanismi di difesa con cui l’abbiamo coperto. Per il paziente ciò vuol dire affrontare l’ansia e i sensi di colpa, che nel passato lo hanno portato a negare un aspetto di sé in funzione del bisogno di appartenenza, di accettazione o di approvazione da parte di una figura genitoriale per esorcizzare la paura del rifiuto e dell’abbandono. La negazione perlopiù viene coperta da meccanismi di compensazione, di formazione reattiva o di razionalizzazione, nonché di proiezione, che tendono a enfatizzare la polarità riconosciuta, con un trasferimento di energia psichica, che ne aumenta il potenziale per contrastare l’altra polarità. Per cui il rigido esalta la razionalità come difesa nei confronti della propria emotività, l’iperattivismo diventa un modo per tenere sotto controllo l’inerzia che sfocerebbe nella depressione, gli atteggiamenti di temerarietà-servono a coprire la vulnerabilità, come il ribelle può accentuare la ribellione per esorcizzare la paura di essere sopraffatto dalla propria parte succube e via dicendo. L’identificazione in un solo aspetto diventa peraltro una specie di possessione, per cui il soggetto non possiede se stesso, ma viene posseduto da una parte di sé. Ciò ci aiuta a capire come la terapia della ambivalenza sia una terapia dell’Io, una terapia del centro, per cui nella prima fase, essendo la consapevolezza dell’Io da parte del paziente non ancora sperimentata, diventa indispensabile il sostegno da parte dell’Io del terapeuta affinché il paziente, all’interno della relazione terapeutica che fa da contenitore alle sue ansie, possa accettare di guardare ciò che ha cominciato a vedere. Poiché l’ostacolo non è tanto l’immagine, ma l’impossibilità di guardarla, in quanto essa ci rappresenta ciò che assolutamente non vorremmo essere.
- Guardare però non è ancora accettare. Se non che senza accettazione non c’è trasformazione. Questo è il passaggio più duro, perché ci è chiesto di incontrarci con l’aspetto negato, col “nemico” interiore, ed è come ritrovarsi smarriti nel territorio di nessuno, costretti ad affrontare l’ansia, che, per la legge di inalterabilità del rimosso, riaffiora con l’intensità dei bisogni del passato e con i sensi di colpa, che ci avevano fatto ‘seppellire’ una parte di noi, abortendo noi stessi. Si tratta allora di ridare vita a quella sub-personalità, scrivendone la storia per diventare consapevoli delle paure e dei bisogni da cui era sostenuta, che ci permettono di leggerla come l’interiore verità negata, traducendola poi in un’immagine che ce la rappresenti e in una postura corporea che la evidenzi. A poco a poco potranno emergere gli aspetti positivi che porta con sé, che ci permetteranno di rivalutarla e di tratteggiare in seguito il progetto di una sua espressione nel quotidiano, secondo un “modello ideale” utile all’identificazione col polo negato. Poiché solo ciò che è stato riconosciuto e accettato può essere trasformato, mentre la negazione, alimentata da un atteggiamento superegoico o reattivo, ci inchioda in uno stato di controllo, in cui siamo più preoccupati di trasformare proiettivamente gli altri piuttosto che noi stessi. La meraviglia potrà consistere nella scoperta che la polarità negata ha molte ricchezze da offrirci, che accettarla significa anche permetterle di esprimere il meglio di sé, come il bruco che, solo accettando di essere bruco, può trasformarsi in farfalla. Consapevoli che, fintanto che non accetteremo di incontrarci con ciò che abbiamo rifiutato, procederemo nella vita mutilati, senza saperlo, di quella parte che, sola, può attivare la nostra fecondità a tutti i livelli. L’aspetto negato risulta essere infatti l’aspetto salvifico, il redentore interiore, in quanto solamente la sua integrazione può restituirci alla nostra identità.
- Contemporaneamente, mentre avviene la graduale identificazione col polo negato si favorisce la lenta disidentificazione dal polo accettato, osservandone gli aspetti negativi, diventando coscienti del prezzo pagato, in termini di allontanamento da noi stessi, per averne fatto l’unica o privilegiata espressione di noi. Abbassando la luce puntata solo su quella polarità, usciremo dall’abbagliamento che ci impedisce di scorgere il suo opposto. Potremmo allora scoprire che l’aspetto in cui ci siamo riconosciuti rischia di diventare il vero ‘nemico’ in un imprevisto scambio di ruoli con l’opposto rifiutato. Tutto ciò prevede la capacità di sostenere la paura di perdere i propri punti di riferimento, il senso della propria presunta identità per aprirci all’imprevedibile, per cui molte possono essere le resistenze da superare. Ma rendersi disponibili ad essere invasi dai contenuti dell’inconscio, accettando la regressione, diventa il punto di svolta, in cui ci è chiesto di “morire a noi stessi” per poter rinascere. Anche per la presa di coscienza di questi aspetti è utile usare le tecniche di espressione suggerite sopra per scoprire che la polarità enfatizzata ci era servita come inconscia strategia di autodifesa.
- Il passo successivo consiste nella disidentificazione da entrambe le polarità, per identificarci in un punto più alto, che sarà l’Io o il Sé, secondo il livello da cui ci poniamo. L’identificazione con l’Io, che coincide con la scoperta della volontà, permette di valutare e apprezzare la ricchezza dell’uno e dell’altro aspetto, di regolarne la reciproca relazione, di decidere quale esprimere secondo le situazioni, poiché “accogliendo l’uno senza ricercarlo e attaccarvisi e l’altro senza temerlo e ribellarvisi, si possono ricevere da entrambi preziose lezioni di vita, distillarne l’essenza” (Assagioli, 2003). Passeremo così dalla dualità alla triangolarità, evocando il terzo fattore, che mediando il rapporto tra i due li riassorbe in sé. Da questo punto di sintesi possiamo riconoscere la loro complementarietà, imparando a “giocare con gli opposti”, avviando una graduale depolarizzazione, che si traduce in una consapevole e ritmica oscillazione, che permette all’energia psichica di uscire dalla stasi, che può essere sia di tipo eccitativo che depressivo, per entrare in un processo dinamico e trasformativo. A questo punto è utile inserire il dialogo dell’Io con l’una e l’altra parte e delle parti tra di loro per allenarci a sostenere dentro di noi la contraddizione della contemporanea presenza dei contrari, che è già un inizio di libertà, mentre la loro graduale ricongiunzione farà uscire gli aspetti positivi di ciascun aspetto.
- A poco a poco comincia così a diventare chiaro che, come suggerisce Assagioli, essi devono “essere tenuti contemporaneamente presenti e fatti agire alternativamente”, affinché possa avvenire quella sintesi interiore, quel matrimonio alchemico, che, sanando la scissione, ci sposta a un livello superiore di coscienza, in cui l’uno e l’altro aspetto nel loro apparente disaccordo creano l’accordo più alto. In quanto ciò che unisce gli opposti conserva in sé le caratteristiche di entrambi i termini, come il coraggio che porta nel suo cuore sia la paura che la temerarietà oppure l’umiltà, che è riconoscimento dei propri limiti e contemporaneamente delle proprie potenzialità o ancora come l’armonia, che è frutto del permanente conflitto tra ordine e disordine. Consapevoli peraltro che la trasformazione annunciata deve essere aiutata e costantemente promossa come suggerisce la tecnica del modello ideale, perché le forze regressive, rappresentate dalle vecchie immagini e abitudini, sono sempre in agguato.
Sul piano terapeutico in particolare sappiamo che, se la rimozione del polo opposto riesce, subentra la dissociazione, la rottura dell’unità con se stessi, donde deriva una mancata auto-realizzazione e una possibilità di nevrosi. Sappiamo anche che queste enunciazioni non sono facili da tradurre nel percorso da effettuare col paziente, in quanto il primo passo presuppone il riconoscimento delle pulsioni rimosse, dei bisogni negati, delle paure non riconosciute, che costituiscono il terreno che alimenta l’ambivalenza, fino a diventare il nostro opposto oscurato. Ma sappiamo anche come l’Io si difenda dall’ansia di rischiare di perdere una sia pur falsa identità e dal pericolo di esporsi a una ferita narcisistica, tanto che spesso preferisce pagare, anche nell’immobilità del compromesso, la rinuncia alla propria auto-realizzazione spesso accompagnata da sintomi nevrotici e/o somatici.
A livello clinico potremmo dire, in maniera molto sintetica, che l’ambivalenza risulta più profonda nel disturbo di personalità schizoide, che si basa sui meccanismi di difesa più arcaici della scissione e della proiezione. Essendo soprattutto una patologia della relazione, in cui il bisogno dell’altro si accompagna alla paura dell’altro, i due opposti vicinanza-lontananza, presenza-assenza vengono enfatizzati al massimo nello smarrimento interiore di una estrema scissione, che porta allo sgretolamento della personalità, alla perdita di sé con il pericolo di una irruzione improvvisa dell’opposto negato.
Il disturbo ossessivo, proprio di una personalità ancorata ad una struttura superegoica particolarmente rigida, che ci permette di definirlo una patologia del controllo, utilizza tutti i meccanismi di evitamento, tra cui soprattutto quelli di isolamento e di formazione reattiva, in funzione appunto di un controllo degli aspetti rifiutati. L’ambivalenza qui si esprime come rigidità-spontaneità, negazione-permissività, controllo-lasciar andare, per cui l’assoluta identificazione col primo aspetto costringe il paziente a mettere in atto comportamenti compulsivi, di cui rimane prigioniero, in funzione del contenimento del secondo aspetto.
Il meccanismo di negazione dell’opposto è attivo soprattutto nel disturbo distimico, che già prevede di per sé un iper e un ipo, e si manifesta in una personalità che tende a negare la propria aggressività con una rottura della polarità passività-attività, introversione-estroversione, che sono modalità espressive dell’energia psichica, per cui è come se il sistema energetico stesso venisse bloccato in una depressione vitale, che può anche assumere un andamento ciclico e bifasico con alternanze euforiche.
Nel disturbo istrionico la negazione dell’opposto viene coperta con l’iper-compensazione, per cui in questo caso l’ambivalenza si gioca attraverso le polarità centralità-esclusione, visibilità-invisibilità, in quanto la ferita narcisistica ha a che fare con la paura di non essere riconosciuti, donde la teatralità istrionica, che il meccanismo di conversione riesce a trasferire anche nel corpo con sintomi e stati patologici di vario tipo.
Il disturbo narcisistico, sia nel suo aspetto overt che covert, è una patologia dell’autostima e quindi l’ambivalenza viene giocata tra i poli adeguatezza-inadeguatezza, grandiosità-vulnerabilità, impotenza-onnipotenza, mentre la negazione è sostenuta prevalentemente col meccanismo della formazione reattiva. Il lavoro terapeutico in questo caso sta nell’individuazione degli aspetti deboli e della vulnerabilità, derivati da carenze di riconoscimento amorevole, che stanno alla base del vulnus narcisistico e nell’accoglimento di questi aspetti attraverso il sostegno empatico del terapeuta, per cui rimando all’articolo citato nella bibliografia.
Il disturbo borderline è proprio di una personalità che, nella sua assenza di confini, è attraversata in modo pericoloso e drammatico dalla ambivalenza, sostenuta dall’impulso-desiderio che oscura l’Io. In essa tutti gli opposti si scontrano da quelli che, a livello intrapersonale, hanno a che fare con la categoria impotenza-onnipotenza a quelli che, a livello interpersonale, hanno a che fare con la categoria dipendenza-indipendenza, lontananza di sicurezza-unione fusionale. Essendo perciò per antonomasia una patologia del centro richiede l’evocazione della consapevolezza di un Io, che possa essere messo in grado di dialogare con entrambi gli opposti superando le resistenze narcisistiche.
Sempre per analizzare le difficoltà che incontriamo sul piano clinico lavorando sugli opposti, dobbiamo tenere presente che nella dinamica del transfert, specie se negativo, esso serve a coprire le resistenze, in quanto basandosi su un meccanismo proiettivo evita al paziente di assumere su di sé le parti rifiutate, che vengono attribuite al terapeuta. In effetti il transfert si scioglie, quando il paziente è in grado di riconoscere come suoi gli aspetti rifiutati ed è in grado di accogliere dentro di sé il conflitto, da cui scaturirà l’energia trasformativa. Così avviene anche per il controtransfert.
Il riconoscimento dell’ambivalenza come stato di normalità e ancor più come mezzo evolutivo è già guarigione, è già punto di arrivo e sta ad indicare che l’Io ha fatto un suo percorso individuativo, uscendo da atteggiamenti immaturi, sia di tipo superegoico che reattivo, legati perlopiù a una identificazione con l’aggressore. A questo proposito, per il tema che stiamo trattando, mi sembra che un atteggiamento mentale e culturale diverso, che considerasse la dialettica della realtà, nelle sue molteplici espressioni, alla luce del principio di polarità, che si ripropone anche nella dialettica psichica, potrebbe trasformare l’atteggiamento educativo in questo senso e ci aiuterebbe ad accelerare questo passaggio nel percorso terapeutico o lo renderebbe addirittura superfluo.
Per ora, secondo la mia esperienza, dobbiamo inserire all’interno della terapia un momento psicagogico per far capire al paziente che entrambi i poli sono indispensabili, che il lavoro da fare è di addizione e non di sostituzione, perché solo non attaccandoci all’aspetto riconosciuto ipervalutandolo e accettando l’opposto negato senza demonizzarlo, possiamo aiutare l’energia psichica ad uscire dalla stasi, sia di tipo depressivo che eccitativo, per farla rientrare in un processo vitale, dinamico e trasformativo. Si tratta di operare un processo di liberazione anche dal condizionamento mentale del principio di non contraddizione, all’interno del quale siamo tutti cresciuti, per aprirci a una logica duale, a una visione polare, e quindi costantemente dialettica, della vita e della realtà, per quanto questo ci possa all’inizio sembrare perfino paradossale. Perché solo mettendo in rapporto, collegando, suturando le ferite delle molte scissioni a qualsiasi livello, possiamo rimettere in moto il processo della vita, che è evoluzione, vale a dire creazione continuamente rinnovata.
La salute in questa ottica appare perciò come una dialogicità permanentemente attivata, in quanto il processo di liberazione non ha mai fine, perché ogni posizione, ogni equilibrio raggiunto va immediatamente superato, se vogliamo restare nel dinamismo della vita e inserirci nel suo processo perennemente trasformativo. Il disagio psichico, la malattia mentale consiste invece in un arresto del divenire nell’individuo bloccato in un insolubile conflitto tra due tendenze opposte oppure paralizzato nello sforzo di evitare il rischio, che l’apertura al rimosso comporta, per procedere alla sua integrazione.
Fin qui ci muoviamo a livello di quella orizzontalità, di cui parlavamo all’inizio e di quella triangolarità inferiore, cui accenna Assagioli, intendendo che il concetto di bipolarità porta con sé quello di triangolarità, in quanto i due contrari hanno sempre bisogno di un terzo fattore, che ne medii e ne sposti il rapporto, come viene illustrato nell’Atto di volontà. Per arrivare a quella che egli chiama la vera sintesi degli opposti, occorre passare ad un livello più alto di quello dell’Io personale, incontrarci con un principio superiore, che riasse in una realtà più vasta, compiendo quel processo di trasmutazione, in cui consiste la trasfigurazione alchemica dell’uomo.
La psicoanalisi per la sua impostazione, dopo averlo posto, non poteva uscire dal problema, in quanto le mancava una dimensione che lo trascendesse. Solo una psicologia, che contemplasse la possibilità di spostare il livello della coscienza ad uno stadio superiore rispetto a quello dell’Io, poteva parlare di sintesi, di coniunctio oppositorum. È quanto ha fatto la psicologia junghiana, ma i concetti di inconscio superiore e di Sé da essa proposti appaiono archetipi impersonali e non dimensioni personali aperte all’universale, come lo sono l’inconscio superiore e il Sé psicosintetici, che Assagioli definisce “realtà sperimentabili”.
All’interno di questa lettura della realtà psichica secondo l’ottica degli opposti anche il sintomo può essere decodificato come segno e come simbolo: segno di un processo evolutivo interrotto, le cui cause vanno cercate nel passato, ma anche simbolo di quelle potenzialità, che non rinunciano a reclamare il loro diritto ad esprimersi e che urgono attraverso gli aspetti simbolici del sintomo stesso. La terapia psicosintetica, come quella della psicologia umanistica in genere, si colloca perciò sul doppio binario del causalismo e del finalismo, riproponendo, anche nel cammino da percorrere verso la salute, una bipolarità che va dialetticamente attivata attraverso un movimento regressivo e contemporaneamente progressivo, che ci permette di recuperare il passato, rispondendo al richiamo del futuro.
“[…] quando farete dei due uno
e quando renderete l’ultimo come l’esterno
e l’esterno come l’interno e il sopra come il sotto
e quando farete del maschile e del femminile uno solo,
allora entrerete nel Regno dei cieli…”
Vangelo di Tommaso, 35: 20-35
Da quanto finora detto appare evidente come la sintesi degli opposti si collochi sul crinale tra la psicosintesi personale e quella transpersonale. Il contatto con le energie del superconscio ci rivela un orizzonte più ampio, in cui inserire la lettura della nostra personale vicenda umana per interpretarla con uno sguardo che viene dall’alto e dal futuro, anziché dal basso e dal passato. Questo diventa possibile, quando il baricentro personale comincia a spostarsi dal livello dell’Io a quello del Sé, attraverso una specie di rivoluzione copernicana all’interno della psiche, che porta con sé la scoperta che l’Io non è che un pianeta/satellite del Sé, che come la terra gira intorno al suo sole, da cui trae la propria vita. Il Sé diventa allora il centro unificatore, che si colloca al di sopra di tutte le polarità, in quanto in sé tutte le include come aspetto personale e transpersonale, temporale e atemporale, maschile e femminile, che si manifesta come Amore volente e Volontà amante.
Assagioli suggerisce di “coltivare e praticare l’ideale dell’Armonia su tutti i piani” per attivare il contatto con i livelli transpersonali e soprattutto di meditare “sull’elemento spirituale fisso in noi, cercando di tenere l’attenzione rivolta verso di esso durante le oscillazioni polari” (A. 28 5/o). È un invito a mantenere vivo il dialogo col Sé, a maggior ragione quando lavoriamo sulla sintesi degli opposti. Perché è solo dal Sé che ci può venire la consapevolezza che, resistendo all’integrazione degli aspetti negati o rifiutandoli, perpetuiamo il tradimento di noi stessi, impedendoci di diventare quelli che realmente siamo. Vera colpa ci apparirà allora non tanto la disobbedienza al genitore terreno, diventato il Superio freudiano, quanto la non obbedienza al genitore celeste, alla ‘chiamata’ del Sé che ci attira come un magnete verso la nostra auto-realizzazione.
Questa consapevolezza può permettere a ciascuno di noi di ritrovare quell'”altro da sé”, da cui ci eravamo separati come dal nostro avversario e di riconoscerlo invece come il collaboratore più attento e affidabile, perché senza di lui non potremo sanare la scissione, in quanto è da lui che siamo scissi. Il percorso è lungo e delicato, fatto di tanti piccoli avvicinamenti, come quelli della volpe e del piccolo principe di Saint-Exupéry, affinché scatti l’accettazione di entrare in rapporto, da cui sboccia una nuova conoscenza. È quanto ci viene suggerito anche dalla sapienza popolare, che dall’inconscio collettivo ci parla attraverso le fiabe dello sposo animale, sia ranocchio o bestia, che si trasforma in principe attraverso l’atto magico, trasformativo, che è l’accettazione di entrare in rapporto, cioè l’amore. Alla fine è solo un atto di amore nei confronti dell’aspetto negato, che, guarendo la ferita dell’amore non ricevuto, ci restituisce alla nostra identità, liberandoci dalla prigione della paura e del controllo per farci re-incontrare con noi stessi e permettendoci così di riprendere il cammino interrotto. Poiché, finché negheremo l’opposto, non potrà esserci processo evolutivo, ma solo fughe illusorie sostenute da pseudo-sublimazioni.
Ma ciò che è ancora più importante, solo così saremo in grado di uscire da un rapporto transferale con l’altro da noi e con la realtà, in cui proiettiamo inconsciamente quanto rimosso dentro di noi, facendolo diventare da nemico interno nemico esterno, demonizzato e quindi appassionatamente combattuto in tutte le situazioni della vita che ce lo evocano. Perché ciò che non viene risolto nell’intrapsichico diventa motivo di scontro nell’interpersonale. L’arroccamento in una visione monolitica di sé, oltre che dolorosa e castrante, ci porta ad aggredire fuori di noi il “diverso” per salvare la nostra presunta identità, per cui le radici del male sono da cercare ancora e sempre dentro di noi. Solo diventando consapevoli del personale conflitto interiore eviteremo che esso collabori, proiettandolo a nostra insaputa fuori di noi, a lacerare il mondo e la nostra relazione col mondo.
La psicosintesi interpersonale è l’arena che ci permette di misurarci con le nostre proiezioni, che diventano coazione a ripetere fintanto che non le riconosciamo come lo specchio, di cui si serve la vita per aiutarci a fare luce dentro di noi. Poiché la nostra umana identità ci è data dall’essere in relazione, in quanto possiamo dire di noi “io” in quanto ci confrontiamo con un “tu” ed è solo attraverso questo rapporto che possiamo ritrovarci. Il nemico in questa ottica può allora diventarci amico, perché ci rivela a noi stessi permettendoci la ricongiunzione con la parte negata di noi. Il sentiero che ci porta dalla psicosintesi personale a quella transpersonale passa necessariamente attraverso il territorio dell’interpersonale, che ci mette alla prova saggiando la nostra verità. Per cui è l’interpersonale che diventa luogo di confronto e di sintesi per gli altri due opposti livelli della nostra personalità.
Una volta riconosciuta l’interdipendenza dei contrari, in cui ciascuno si relaziona all’altro come parte a sé complementare, essa diventa strumento prezioso di trasformazione, che ci permette il ritiro delle proiezioni, che finalmente riconosciamo come specchio deformante della realtà. Diventiamo così più consapevoli della complessità della vita, più tolleranti e aperti di fronte a tratti della nostra e altrui personalità, disposti anche a sorridere di noi stessi e a noi stessi. “Se non c’è la risata, non c’è la via” recita un detto zen: il senso dell’umorismo è un dono sacro che porta con sé libertà e tolleranza, tanto che Assagioli lo elenca tra le qualità transpersonali da sviluppare.
L’opposto negato diventa perciò il tesoro da cercare nel fondo della caverna, di cui parlano tutti i miti, ma l’ostacolo più subdolo da rimuovere è la nostra fissazione all’aspetto privilegiato, a cui colleghiamo una presunta identità, alla sub-personalità considerata “virtuosa”, dal perfezionista al salvatore, dalla crocerossina al mediatore, dall’irreprensibile all’indispensabile, dalla wonder-woman al superman e via dicendo, a cui rimaniamo saldamente aggrappati come all’aspetto più caro. Forse anche perché … “ci è costato caro”. Ma in tutte le tradizioni spirituali ci viene detto che è proprio della cosa più cara che dobbiamo spogliarci per entrare nel regno. Perché il Sé bussa dentro di noi attraverso l’opposto negato, in quanto la luce ama rivelarsi attraverso l’ombra. Ascoltarne l’invito significa attivare l’attenzione e la volontà di accoglierlo secondo i passaggi che abbiamo elencato. Finché capiremo che l’alto non annulla il basso ma lo integra, che ogni ascesa è proporzionale alla discesa, che ogni debolezza è appello alla forza, che nel limite c’è la spinta alla pienezza, che l’errore è il compagno necessario della verità; perché il male prepara il bene, che è la forza dinamica che agisce attraverso il gioco dei contrari per garantire la vita a qualsiasi livello. Il gioco dei contrari diventa perciò il segreto di ogni trasformazione, perché solo trasformando noi stessi potremo trasformare il mondo.
Strumento privilegiato per favorire la sintesi è il simbolo, che nascendo come mediatore degli opposti, bipolare per sua natura, risulta essere il ponte che mette in relazione gli aspetti consci con quelli inconsci della personalità, sia quando si presenta come segno che riporta a galla il rimosso, sia quando si presenta come vero simbolo, anticipatore di finalità sconosciute dell’inconscio superiore. In questo caso diventa archetipo, modello guida che rivela all’uomo il senso più profondo del suo essere nel mondo.
Quello che, coniugando la verticalità con l’orizzontalità, ci ripropone in chiave metafisica lo stato di auto-realizzazione dell’uomo universale, chiamato a materializzare lo spirito e a spiritualizzare la materia, è la croce, che si espande nelle quattro direzioni passando sempre attraverso un centro. Presente nelle culture più arcaiche anteriori di millenni al cristianesimo, la croce condensa nella forma più essenziale la più vasta delle sintesi. Ad essa si sposa l’archetipo altrettanto antico della spirale, che, muovendosi attorno a un asse verticale invisibile che diventa centro, si estende in larghezza mentre sale in altezza e nel suo movimento di rotazione e di espansione sembra proporci il modello stesso della vita e del suo divenire.
Collaborare al lavoro d’integrazione e sintesi degli opposti dentro di noi significa anche perciò collaborare con la legge di sintropia, che prevede un processo costruttivo e progressivo, che porta verso forme sempre più complesse e differenziate attraverso cui si articola l’evoluzione e la vita. Sottrarci ad esso significa abbandonarci alla legge di entropia, che prevede un processo distruttivo e regressivo nella direzione di una progressiva indeterminazione e indifferenziazione, che porta verso l’involuzione e la morte; come scegliere tra la salute e la malattia, tra l’auto-realizzazione e la negazione di noi stessi.
L’opera alchemica, che prevedeva la sintesi di zolfo e mercurio in funzione della creazione del lapis, la pietra filosofale che aveva il potere di trasformare i metalli, aspetto più pesante della materia, in oro, era considerata “lunga via”. Così è del processo personale di individualizzazione, il cui fine è di arrivare attraverso la ripetuta sintesi dei molteplici opposti alla coscienza di ospitare in noi una scintilla di luce, il Fanciullo divino del mito, che trasforma in “oro” tutto ciò che tocca, perché alla luce del Sé ogni aspetto della nostra vita diventa occasione di crescita e si illumina di significato, a sua volta illuminandoci.
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