Psicosintesi un “nuovo” metodo di cura

Rivista di Psicosintesi Terapeutica – Anno XII Numero 25, Marzo 2012

PSICOSINTESI UN “NUOVO” METODO DI CURA[1]

di Alberto Alberti
Medico neuropsichiatra e psicoterapeuta, didatta SIPT, Direttore della Scuola di Psicoterapia
Psicosintetica, Firenze. Indirizzo per la corrispondenza: info@luomoedizioni.it

Even though its origins date back to the beginning of the past century, psychosynthesis today appears to us as surprisingly “11ew” in its therapeutic method. We can highlight its specificity and peculiarity by the following three points:

  1. the centrality of the therapeutic relationship, which is meant as an “existential encounter” between “the one who suffers” and “the one who heals”, their conscious and voluntary cooperation aiming at the clinical improvement or recovery of the former; both of them introducing into the therapeutic setting psychopathological and therapeutic contents with the aim to interpret and alchemically transform them;
  2. the healing of personality, a process characterized by the analysis of the images of self and of the pathological projects that are unconsciously pursued, the development of a model of personality that is more autonomous, mature and integrated – and realistically feasible – and its realization by means of a series of methods, techniques, environments and persons (“personalization ‘);
  3. the treatment of the soul, i.e. a process characterized by a communion between the Self of the patient and the Self of the therapist, by the expression and intersubjective sharing of free feelings and a deep emotion, with the maieutic aim of the recovery of the Self subjectivity from the psychopathological contents with which it is identified, and of the subsequent conscious identification and conjunction with the new personality (“animation “, i.e. restoring the soul).Psychosynthesis, in the sense of an integral therapy, addresses both the bio-psychic mechanism (personality) and the person who inhabits and lives it (Self or soul), recomposing them in a harmonious synthesis. This coming together of personality and soul allows the soul to anchor itself to the personality and with it to the objective reality, and allows the personality to receive by the Self the vital, animating breath.
    Keywords: Integral therapy, maieutic, Self; soul, alchemical transformation, personalization.

La psicosintesi, nonostante le sue origini risalgano agli inizi del secolo scorso, ci appare oggi come sorprendentemente “nuova” nella sua metodologia terapeutica. Possiamo indicare la sua specificità e particolarità in tre punti:

  1. la centralità della relazione terapeutica, intesa come un “incontro esistenziale” tra un “uomo che soffre” e un “uomo che cura”, una loro cooperazione cosciente e volontaria allo scopo di un miglioramento clinico o guarigione ed una immissione nel setting da parte di entrambi di contenuti psicopatologici e terapeutici al fine di una loro traduzione e trasformazione alchemica;
  2. la cura della personalità, caratterizzata dall’analisi delle immagini di sé e dei progetti patologici, inconsciamente perseguiti, dall’elaborazione del modello di una nuova personalità più autonoma, matura e integrata – realisticamente attuabile – e dalla sua attuazione mediante un insieme di metodi, tecniche, ambienti e persone (“personalizzazione”);
  3. la cura dell’anima, caratterizzata da una comunione tra il Sé dell’uomo paziente e il Sé dell’uomo terapeuta, l’espressione e condivisione intersoggettiva dei sentimenti liberi e la commozione, al fine maieutico del recupero del Sé-soggettività dai contenuti psicopatologici con cui è identificato, e della sua successiva identificazione cosciente e congiunzione con la nuova personalità (“animazione”).La psicosintesi, intendendo la terapia in modo integrale, si rivolge sia al meccanismo biopsichico (personalità) che alla persona che ci abita e lo utilizza (Sé o anima), componendoli in una sintesi armonica. Tale composizione permette all’anima di ancorarsi alla personalità e con essa alla realtà oggettiva, ed alla personalità di ricevere dal Sé il soffio vitale e animatore.
    Parole chiave: terapia integrale, maieutica, Sé, anima, trasformazione alchemica, personalizzazione.

La psicosintesi è stata proposta da Assagioli per la prima volta nel 1909 con un articolo dal titolo La psicologia delle idee forza e la psicagogia, pubblicato nella “Rivista di psicologia Applicata,” ma nasce ufficialmente nel 1926 con la pubblicazione di un suo scritto intitolato Psychosynthesis: A New Method of Healing.

La scelta di riutilizzare questo titolo è dettata dal riconoscimento dell’attualità della proposta assagioliana, che, pur antica nelle sue origini, ci appare oggi come qualcosa di sorprendentemente nuovo, più che mai vivo, vitale e fecondo.
In particolare il “nuovo” della psicosintesi è rinvenibile nella sua applicazione al campo della terapia.

MALATTIA DELLA PERSONALITÀ E MALATTIA DELL’ANIMA

Voglio cominciare, prendendo spunto dalle parole di un mio giovane paziente di tanti anni fa:

“Dottore, voglio essere curato,
non con le medicine,
ma con l’amore e con la gioia.”

Questa comunicazione merita di essere analizzata. Cosa mi stava dicendo con queste parole? Sostanzialmente tre cose:

  1. L’amore e la gioia sono sentimenti spirituali. Questo paziente mi stava dicendo che la sua malattia non era soltanto fisica e neppure solo psichica. Mi stava comunicando che il suo disturbo era più intimo, e che aveva radici profonde. Si trattava insomma di una malattia dell’anima.
  2. Il giovane paziente mi stava dicendo anche un’altra cosa: la sua era una malattia da carenza. La gioia e l’amore gli erano mancati, perché pur avendoli avuti, li aveva poi perduti (o gli erano stati tolti), o forse perché non li aveva mai veramente avuti, ma solo intravisti da lontano.
  3. Infine mi stava anche dando suggerimenti sulla cura per la sua malattia: amore e gioia. La cura assumeva le caratteristiche di una terapia sostitutiva. Una malattia da carenza non poteva che essere curata con la somministrazione di ciò che era assente e mancante, in questo caso appunto mediante sentimenti spirituali.

Da quest’ultimo punto possiamo trarre stimolo per una prima importante riflessione sull’uomo terapeuta, che non deve essere soltanto un raccoglitore di sofferenza, ma ha anche il compito più specifico di saper andare oltre, sì da essere un portatore di gioia. Non solo, egli deve essere anche uno scopritore della gioia segreta dell’uomo paziente, rendendo visibile la sua gioia interiore, nascosta ma sempre presente sotto le cicatrici delle ferite ricevute.

Questo giovane paziente non mi stava invece dicendo – ma ciò era evidente – che la malattia aveva avuto esiti e ripercussioni sulla personalità. Egli infatti era chiaramente psicotico con tutti i sintomi tipici di un disturbo schizofrenico (catatonia, incoerenza del pensiero, deliri e allucinazioni).

La sua allora era una malattia dell’anima, ma anche una malattia della personalità. Ecco un aspetto specifico dell’ottica psicosintetica. Ogni patologia, pur prendendo inizio in una parte dell’essere umano (corpo, emozioni, mente, volontà, anima), si estende poi a tutti gli altri aspetti e dimensioni, investendo totalmente la persona e la personalità. Pertanto anche la terapia non potrà che essere integrale e indirizzarsi a tutti gli aspetti dell’individuo.

La cura allora, in questo come in altri casi, procederà su due fronti:
1. A livello della personalità.
2. A livello del Sé o anima.

In somma un duplice processo terapeutico, cioè un procedere parallelo e sinergico della cura.

IL CAMMINO UMANO

L’uomo è un essere dinamico che si muove, che procede, che cammina. La meta del cammino è di attuare la specifica umanità. L’uomo ha il compito di diventare “uomo” nel senso più pieno e compiuto della parola. Possiamo considerare il percorso umano come un cammino di crescente “umanizzazione” (Teilhard de Chardin), caratterizzato dalla realizzazione di sintesi sempre più ampie, elevate e complete.
Questo processo di umanizzazione consiste nel diventare un essere umano completo, compiuto e animato: completo (corpo, emozioni, pensiero e volontà); compiuto (con le potenzialità umane attuate al massimo, cioè mature); animato (vivo, vitale).
Ma l’uomo spesso inciampa in questo percorso, si ferisce o viene ferito, si fa male, cade e fa fatica a rialzarsi. A volte non ce la fa da solo, per cui ha bisogno di un aiuto esterno. A volte si lascia andare, scivolando nella patologia: si ferma per la paura di procedere, di crescere, di maturare. Ha timore di farsi male di nuovo, di essere di nuovo ferito, e si costruisce una specie di buca patologica, che diventa tutto il suo mondo. Egli vive e muore in questa sua buca, vi scava cunicoli talvolta per fingere (di fronte a se stesso e agli altri) di volerne uscire, ma in realtà restandovene (forse in parte volutamente) sempre più intrappolato. E può accadere che, per non sentirsi solo, la popoli anche di personaggi immaginari, di fantasmi, di allucinazioni.

L’uomo terapeuta ha il compito di avvicinarsi all’uomo paziente nel punto dove è caduto e poi si è fermato:

  1. Si pone accanto a lui, per non farlo sentire solo (cura della solitudine);
  2. Accoglie, riceve in parte la sofferenza del paziente, e la condivide per alleviarla (cura della sofferenza);
  3. Procede oltre la sofferenza, per raggiungere la gioia nascosta del paziente, che fu a suo tempo mortificata, la evoca, la conferma, la condivide (cura della gioia);
  4. Entra in comunione tramite il proprio Sé col Sé del paziente, rianimandolo ed evocando in lui la volontà di rialzarsi e riprendere il cammino interrotto (cura dell’anima);
  5. Gli mostra una visione positiva della vita e pone in relazione sofferenze e gioie con l’universalità della vita (cura del significato).

EVOLUZIONE DELLA PERSONALITÀ E SVOLGIMENTO DELL’ANIMA

L’umanità dell’uomo ha due aspetti:

  1. La personalità (corpo, emozioni, mente e volontà), che ne rappresenta la parte più esterna e visibile;
  2. Il Sé o anima, che è la parte più intima, sottile e profonda.

Il cammino di crescente “umanizzazione” dell’essere umano è caratterizzato da due movimenti paralleli, due percorsi sinergici e complementari, compiuti dalla personalità (evoluzione) e dall’anima (svolgimento). Possiamo così descriverli:

  1. Movimento esistenziale evolutivo, svolto dall’Io che si pone al centro della personalità, si auto-riconosce come centro di coscienza e di volontà e compie sulla personalità un lavoro di armonizzazione, di crescita e di sintesi. Questo movimento è caratterizzato dal lavoro e dalla fatica e talvolta anche dalla sofferenza. Si può fare da soli, ma spesso abbiamo necessità dell’aiuto degli altri.
  2. Movimento essenziale di svolgimento, svolto dal Sé o anima, che si manifesta, si dispiega, si svolge e si rende visibile, ricercando conferma e condivisione. L’uomo percepisce tale movimento come sentimento e commozione. La manifestazione commossa dei sentimenti dell’anima non è faticosa, ma è vulnerabile: ha bisogno di essere vista, riconosciuta, e poi soprattutto guardata con empatia, amore, stupore e gioia. Altrimenti i sentimenti gioiosi del Sé sono mortificati, e si difendono ritraendosi, nascondendosi sotto la copertura del dolore. È questa la ferita primaria, così ben descritta da Firman e Gila.

Quindi, in sintesi, abbiamo: da un parte un Io che sale verso il Sé o anima, compiendo un lavoro di sintesi sulla personalità umana; dall’altra un Sé o anima che scende, si manifesta, si rivela e si rende visibile, ma che ha bisogno – una volta resosi visibile – di essere riconosciuto, confermato, amato e condiviso.

LA PATOLOGIA

La malattia è sempre una forma di disconnessione, una lacerazione all’interno dell’umanità dell’uomo. In particolare si verifica l’alterazione dei fili di relazione e collegamento tra i due aspetti fondamentali della dimensione umana, cioè l’anima e la personalità. La patologia si manifesta quando i due processi (“Io che sale” e “Sé che scende”) sono disconnessi tra loro. In altre parole, la malattia è sempre una forma di disarmonia tra la personalità e l’anima. Maslow definiva questo processo come una forma di impoverimento umano. Quindi una de-umanizzazione, una perdita di umanità o comunque una lacerazione al suo interno, che colpisce entrambi gli aspetti della dimensione umana – personalità e anima – con due modalità distinte.

  1. A livello della personalità: c’è una scomposizione, un difetto di armonia interna, ed una regressione, un arresto evolutivo ed un tentativo di ricomposizione, ma ad un livello inferiore. In alcuni casi il soggetto subisce passivamente un processo di frammentazione e destrutturazione della personalità (una forma di annientamento, che un mio giovane paziente – nel corso delle sue crisi di angoscia psicotica – indicava con l’espressione “disintegrazione zero zero”).
  2. A livello dell’anima: c’è un’assenza, un ritrarsi, un nascondersi, una diminuzione di visibilità, un difetto di trasparenza (un riavvolgimento dell’anima, anziché uno svolgimento). La prima e diretta conseguenza di questo fenomeno di ritrazione dell’anima è la pietrificazione della vita. Ci si sente come morti, devitalizzati, inanimati. Viene a mancare un reale sentimento di esistenza, che viene sostituito con un finto vivere, una vita inautentica (spesso rappresentata simbolicamente con le immagini del robot o del clown).

LA RELAZIONE TERAPEUTICA

La cura è sempre una ricomposizione di umanità, che avviene a livello della personalità mediante una restituzione di coscienza e di volontà, ed una ristrutturazione della personalità (integrazione e maturazione), ed a livello dell’anima mediante la restituzione di sentimenti vitali.
Entrambi questi processi si realizzano attraverso la relazione terapeutica. L’instaurazione di un rapporto terapeutico è la prima e basilare cura di ogni malattia, qualunque sia il metodo usato. Essa risolve infatti alle radici quel terreno di fondo – dove attecchisce e da cui trae nutrimento ogni tipo di patologia – che è costituito dalla solitudine.
Da questo punto di vista, il problema principale delle malattie sembra essere, più che la sofferenza, la solitudine nella sofferenza, cioè il vissuto angoscioso dell’essere e sentirsi soli ad affrontare una sofferenza, avvertita come più grande delle capacità di sostenerla con le nostre singole forze. La relazione terapeutica ha dunque, come suo primo significato, quello di cura della solitudine.
Possiamo identificare in tale relazione cinque fasi, che non si susseguono tra loro in modo rigido e consequenziale, per cui – più che stadi – possiamo considerarle quali diverse e complementari dimensioni relazionali, che possono procedere parallelamente ed anche sconfinare, intrecciandosi le une con le altre.

Transfert, controtransfert, identificazione e contro-identificazione proiettiva, identificazione simbiotica, processi osmotici
Questa fase si svolge prevalentemente a livello inconscio e comprende vari aspetti:

  1. Transfert. Trasferimento sul terapeuta dei contenuti emotivi e mentali vissuti dal paziente nella sua infanzia verso le figure genitoriali.
  2. Controtransfert. Emozioni e sentimenti del terapeuta verso il paziente, comprendenti sia quelli insorgenti primariamente nell’animo del terapeuta, sia quelli reattivi e secondari al transfert del paziente.
  3. Identificazione e controidentificazione proiettiva. Disconoscimento e scissione di aspetti propri della personalità, loro proiezione (insieme a parti identificate dell’Io) all’esterno e attribuzione alla persona del terapeuta, che viene identificato con essi (identificazione proiettiva). Anche il terapeuta può mettere in atto un processo analogo oppure può reagire – irrigidendo i propri confini – mediante un diniego inconscio dei contenuti, che non vengono accolti, ma respinti e ri-proiettati come tali sul paziente, oppure può cedere alla pressione interpersonale, identificandosi inconsciamente con essi (contro-identificazione proiettiva).
  4. Identificazione simbiotica. In certi casi la convergenza delle identificazioni proiettive del paziente con quelle del terapeuta – entrambi da intendere come forme di pressione interpersonale all’identificazione – può determinare una vera e propria confusione delle due identità, fino ad una loro inconscia fusione simbiotica.
  5. Diffusione osmotica. Processo inconscio di trasmissione per via osmotica, per cui il paziente fa fuoriuscire dai propri confini individuali contenuti energetici, relativi alla sua sofferenza e/o patologia, li fa “vibrare” negli spazi interpsichici dell’inconscio collettivo, per raggiungere poi la psiche del terapeuta, e risuonare in essa, col fine inconscio di comunicarli al terapeuta tanto fortemente da farglieli sentire per esperienza diretta, al duplice scopo non solo di alleggerirne il peso su di sé, ma anche e soprattutto di ottenere una più intima comprensione del suo disagio.

Rapporto specifico
Questa fase è quella creata dalla specificità della situazione terapeutica. Non si tratta di una relazione inconscia e fantasmatica, legata a vissuti del passato, ma di un rapporto di cooperazione cosciente e reale, volontario e attuale (alleanza terapeutica o di lavoro). Il paziente prende chiara coscienza di avere una sofferenza e/o patologia, che non è in grado di risolvere da solo, per cui riconosce di aver bisogno di un aiuto esterno. Il terapeuta si pone realmente e consapevolmente come centro unificatore esterno, come modello ideale di riferimento, come sostegno e guida effettiva e concreta. L’atteggiamento del terapeuta è correlato ai bisogni reali del paziente, per cui sarà flessibile, svolgendo vari tipi di funzione:

  1. Funzione di presenza, di posizionamento del terapeuta accanto al paziente, al fine di fargli sentire che non è più solo nella sua situazione di sofferenza. Si tratta di una presenza forte, competente e amorevole, ma non invadente: un esserci del terapeuta rispettoso degli spazi psichici del paziente, ma anche che non si fa invadere, cioè resistente ad ogni tentativo (cosciente e/o inconscio) di manipolazione.
  2. Funzione materno-protettiva, di empatia, amore incondizionato, rassicurazione, accoglienza totale e contenimento, specie nelle fasi iniziali della relazione terapeutica. Tale funzione è transitoria e tende ad evocare nel paziente la capacità di auto-accoglienza, auto-rassicurazione, auto-protezione (auto-empatia e amore di sé).
  3. Funzione paterno-autonomizzante, di guida esterna, stimolo all’azione autonoma e responsabile. La funzione di direzione esterna è transitoria, e tende ad assumere sempre di più le caratteristiche di un catalizzatore, evocando nel paziente un processo analogo (“guida all’autoguida”). Il paziente la interiorizza, fino a scoprire in se stesso la propria guida o terapeuta interiore.
  4. Funzione di modello relazionale, da intendersi nel senso che la modalità d’interazione terapeutica assume il significato nel suo insieme di modello ed esempio di relazione sana, che tende a favorire nel paziente la capacità di realizzare anche all’esterno relazioni sane e autentiche con gli altri.

Rapporto alchemico
La specificità della situazione terapeutica è caratterizzata solo in parte dal suo svolgersi a livello cosciente e volontario. Ciò che è veramente specifico di tale situazione è la sua corrispondenza ai reali bisogni del paziente ed alle capacità e intenzioni curative del terapeuta. Il paziente immette nella relazione i suoi elementi di sofferenza e/o patologia (elementi regressivi e di destrutturazione, vuoto di sentimenti dell’anima) che ricercano l’incontro e l’interazione alchemica con gli elementi curativi immessi nella relazione dal terapeuta (elementi evolutivi e di sintesi, sentimenti dell’anima). Questo processo è assai complesso. Si svolge prevalentemente al di sotto della coscienza, nelle dimensioni inconsce della personalità del paziente e del terapeuta e nello spazio interpsichico dell’inconscio collettivo. Il terapeuta però partecipa consapevolmente a tale processo, lo dirige e lo coordina, essendo a conoscenza delle leggi della psicodinamica – intra-personali, inter-personali e transpersonali – e muovendosi in armonia con esse. Possiamo distinguere, in questo tipo di relazione, vari aspetti:

  1. Irradiazione. Diffusione di energie positive, integrative e di sintesi, che si irradiano spontaneamente dalla persona del terapeuta, dal cui livello di autoformazione ne dipende la qualità. Un terapeuta, che abbia attuato un buon livello di armonia e maturazione psichica e spirituale, con la sua sola presenza esercita spontaneamente – ma può farlo anche coscientemente e volontariamente – una funzione catalitica nel paziente, evocando in lui energie analoghe di maturazione e sintesi.
  2. Proiezione osmotica. Aumento della porosità e permeabilità della membrana biopsichica, con emissione da parte del paziente di contenuti psicopatologici (elementi regressivi e dissociativi, vuoto dell’anima).
  3. Risonanza archetipica. Diffusione degli elementi psicopatologici nell’ambiente esterno con possibilità di risuonare in sintonia con le strutture archetipiche corrispondenti dell’inconscio collettivo, potendo così di conseguenza amplificarsi.
  4. Risonanza intersoggettiva. Eco nel terapeuta delle vibrazioni trasmesse per via osmotica dal paziente e loro risonanza, facilitata e amplificata per la presenza nella personalità del terapeuta di analogie e corrispondenze psichiche.
  5. Assimilazione, elaborazione, integrazione. Recezione, accoglienza, e utilizzazione consapevole e volontaria da parte del terapeuta dei contenuti di sofferenza e patologici inconsciamente proiettati e fatti risuonare in lui dal paziente, contenimento, metabolizzazione e cura in se stesso di tali contenuti.
  6. Risonanza universale. Il terapeuta, per evitare il rischio di una mescolanza confusiva dei contenuti psichici propri e del paziente e di un’identificazione simbiotica tra loro due, allarga la relazione, introducendo un terzo fattore: la Vita. Il terapeuta pone se stesso, il paziente e i suoi contenuti di sofferenza e/o patologia in relazione di consonanza con tutta la vita, facendosi canale e intermediario di una realtà più grande, e trasformando così il rapporto/incontro terapeutico in un tramite per il passaggio del flusso vitale, armonico e risanatore della vita universale.
  7. Restituzione. Il terapeuta non trattiene in se stesso i contenuti proiettati su di lui dal paziente, ma glieli restituisce adeguatamente modificati.
  8. Re-introiezione. Il paziente riprende su di sé la sua sofferenza e/o patologia, dopo che è stata ricevuta, assimilata, in parte condivisa dal terapeuta, messa poi in consonanza con tutta la vita universale, ed infine tradotta/trasformata in un linguaggio/forma comprensibile e assimilabile.

Rapporto alla pari
Il rapporto alla pari si svolge a vari livelli e si sviluppa col procedere della cura, mano a mano che il paziente diventa sempre più autonomo, è in grado di fare da sé, facendo riferimento al proprio “terapeuta interiore”. Si tratta di un “rapporto umano”, paritetico, nel cui ambito il terapeuta gradualmente si ritrae, potendo lasciare che si rendano visibili aspetti umani di sé, limiti ed anche imperfezioni personali. Un aspetto particolare di questa fase è l’utilizzazione della “tecnica dell’insegnamento delle tecniche”, per cui il paziente viene esercitato all’uso di metodi, che potrà poi usare per conto proprio.

Soluzione del rapporto
La soluzione del rapporto è bene avvenga in modo graduale e insensibile. Non è la fine della relazione, ma solo il termine del rapporto specificamente terapeutico. La relazione infatti può continuare, in certi casi, sotto altre forme, come per esempio di amicizia o collaborazione. La relazione terapeutica ha funzione intermediaria transitoria: non è fine a se stessa, ma è mezzo per il raggiungimento della meta della psicoterapia, che è rappresentata dalla guarigione (o miglioramento clinico) e dallo scioglimento della stessa relazione terapeutica. È bene esplicitare ciò fin dall’inizio, per ridurre al minimo la tendenza ad atteggiamenti di dipendenza.

LA CURA DELLA PERSONALITÀ

La personalità è la parte più esterna e visibile dell’umanità dell’uomo. Il processo terapeutico, su cui si fonda la cura della personalità, consiste essenzialmente in uno spostamento del centro unificatore interno (“Io”) del paziente dal nucleo della patologia (situato nel subcosciente) ad un punto più maturo, sano ed evoluto della sua personalità (situato nel supercosciente), e ad una ricostruzione della personalità intorno alla nuova posizione del centro unificatore. In altre parole si passa da una sintesi ristretta e patologica ad una sintesi più ampia e matura. La cura della personalità comprende un lavoro di maieutica dell’identità soggettiva, della coscienza e della volontà, ed un lavoro di riabilitazione, sintesi e ricostruzione. Essa si svolge attraverso varie fasi[2].

Identificazione con la patologia
L’uomo paziente è per lo più identificato con la propria patologia. È come se dicesse: “Io soffro, perché sono malato”. L’uomo terapeuta spesso rinforza tale atteggiamento, effettuando una diagnosi patologica, ed orientando la sofferenza nella direzione della patologia (“Tu soffri, perché sei malato”). Il rischio, in questi casi, è di rendere statica, ferma, immobile e immutabile la sofferenza.

Sguardo soggettivante
L’uomo terapeuta psicosintetico è una persona auto-formata nel senso della disidentificazione e dell’autoidentificazione e fa riferimento ad una prospettiva di salute. È libero dalla patologia e quindi capace a sua volta di liberare. Per prima cosa egli guarda il paziente come se non fosse la sua malattia, ma un soggetto, una persona che ha una malattia. Il paziente, rispecchiandosi nello sguardo soggettivante del terapeuta, viene così sollecitato ad una prima disidentificazione, a prendere cioè coscienza dell’uomo al di là ed oltre la malattia, sì che potrà dire: “Io non sono malato, ma ho una malattia”, o anche “Io non sono un paziente, ma un uomo paziente”.

Dimensionamento della patologia
Successivamente si può fare un lavoro di ri-dimensionamento o meglio di giusto dimensionamento della malattia. Spesso la patologia è come una lente d’ingrandimento, che mette in evidenza cose che ci sono anche nelle persone normali sebbene non altrettanto evidenti. Il paziente osserva la sua malattia con ansia e preoccupazione, per cui la alimenta e ne resta invischiato. La nutre con i suoi continui pensieri su di essa, e quindi la ingrandisce e la rende più duratura nel tempo. Bisogna togliere la lente d’ingrandimento e rendere più relativo ciò che il paziente ha fatto diventare assoluto. L’uomo paziente deve riuscire a dire: “Io ho una malattia qui e ora: la malattia prima non c’era e potrà scomparire nel futuro. Inoltre la malattia è parte di me, ma non è tutto me”. Si toglie in tal modo la stasi, la fissità, e si restituisce movimento e dinamicità.

Spostamento della coscienza
Infine l’uomo terapeuta invita l’uomo paziente a spostare il focus della sua coscienza altrove, a indirizzare lo sguardo verso altre parti di se stesso, verso i piani superiori del suo edificio psichico, verso le sue parti sane, le sue risorse e potenzialità, sì da fargli dire: “Io non ho solo una malattia, ma molte altre cose”. Anzi può arrivare a scoprirsi come principalmente in salute, fino a dire: “Io sono fondamentalmente sano, anche se ho in alcune parti del mio corpo e della mia psiche qualche disfunzione”.

Volontà di guarire
L’uomo paziente, prendendo coscienza e riscoprendo in se stesso potenzialità e attitudini, parti sane e belle, può riuscire in tal modo anche a trovare motivi e valori, per cui valga la pena vivere e quindi anche guarire. Viene così evocata e si sviluppa in lui la volontà di guarire, sì da farlo arrivare ad affermare: “Voglio guarire perché ho scoperto in me qualcosa che vale”.

Ridefinizione esistenziale della patologia
La malattia, in quanto forma organizzata di sofferenza, ha un aspetto di fissità. Si tratta di trasformare la staticità della malattia in sofferenza libera e dinamica, al fine di recuperarne e riscoprirne un possibile senso positivo ed evolutivo. Il paziente può arrivare a dire: “Io non ho una malattia, ma mi trovo in una situazione di disagio e sofferenza”. Parallelamente al lavoro di disidentificazione dalla malattia, del ridimensionamento di essa, e di spostamento della coscienza sulle parti sane e superiori, si cerca di realizzare una migliore e più ampia comprensione del dolore, inserendolo in un contesto universale, e ricercandone il significato.

Universalizzazione della sofferenza
Tutti soffriamo. Non si può eliminare la sofferenza dalla vita: la sofferenza è universale. È un’esperienza che fa parte della vita, per cui è inevitabile, e tutti, prima o poi, la incontriamo o la incontreremo. È importante aiutare il paziente a mettere in relazione la sua singola sofferenza con la dimensione universale del dolore umano, affinché possa comprenderne meglio il senso e l’entità.

Significazione della sofferenza
Poiché la sofferenza è inevitabile nella vita, è importante riuscire a darle (o trovarle) il giusto significato.

  1. Difesa. Il significato della patologia può essere di tipo difensivo di fronte ad una sofferenza più grande delle capacità del paziente di sostenerla. La malattia, in certi casi, potrebbe essere la migliore sintesi possibile, un modo per riuscire a mantenere una coesione della personalità di fronte ad un attacco che ferisce e lacera (J. Firman e A. Gila ci parlano, a questo proposito, della formazione di una personalità di sopravvivenza). In questi casi l’uomo paziente può essere aiutato ad esistenzializzare la sua malattia, si da arrivare a dire: “Io non ho tanto una malattia, quanto una situazione di disagio e sofferenza, che non sono riuscito a sostenere in passato – poiché ero debole e solo –, per cui ho potuto sostenerla solo indietreggiando, ripiegando su una modalità di sopravvivenza; ma ora forse posso affrontarla e sostenerla, essendo più forte e non essendo più solo”.
  2. Evoluzione. In certi casi l’uomo paziente può riconoscere un possibile significato di crescita nella sua sofferenza, realizzando così un passaggio importante, che lo porta ad affermare: “Il significato della mia sofferenza potrebbe non essere di malattia, ma di un conflitto esistenziale di maturazione”. Egli potrebbe allora così concludere la sua analisi esistenziale, affermando: “Io non soffro perché sono malato. Soffro perché sto maturando, oppure: soffro, perciò posso maturare”.
  3. Limite. La malattia può aver dato (in parte o totalmente) degli esiti irreversibili. Si tratta, in questi casi, di ridefinirla (per la parte che riguarda gli esiti) nei termini di un limite esistenziale, di fronte ai quali l’atteggiamento migliore è quello dell’accettazione. L’accettazione (che non è un rassegnarsi, né un subire) è un processo attivo che comporta crescita e maturazione.

Sarebbe importante, per ogni situazione patologica, riuscire a distinguere quanto di essa costituisce un meccanismo difensivo, quanto è sintomo di uno sforzo evolutivo e quanto è da considerarsi quale un esito irreversibile.

Progetto: modello ideale (co-progettualità)
Si passa, a questo punto, alla parte più concreta del processo terapeutico. Si tratta ora di trovare nel paziente un centro unificatore evolutivo, situato in un punto più maturo della sua personalità. La sofferenza può infatti essere luogo di gestazione per la nascita di qualcosa di più maturo, per cui è importante cominciare ad individuarlo. Ciò che può venire alla luce è una sintesi più matura. È fondamentale, in questa fase, spostare in modo più concreto la coscienza del paziente verso gli aspetti più evoluti della sua personalità, ed elaborare insieme a lui il modello ideale di una nuova possibile personalità.

Poiché ogni situazione esistenziale è unica, si rende necessario per ciascun paziente elaborare progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati. A tale progettazione partecipano insieme – nella psicoterapia individuale – sia il paziente che il terapeuta. Nelle terapie istituzionali, specie nei trattamenti terapeutico-riabilitativi dei disturbi psichici gravi, partecipano solitamente più operatori con competenze professionali diverse (multidisciplinarietà). Soprattutto comunque vale il principio per cui il progetto non deve essere fatto “sul” paziente, ma “con” il paziente, “per” lui e “insieme” a lui. In questo senso va inteso il concetto di co-progettualità.

Ricostruzione
Dopo la progettazione, si passa alla ricostruzione effettiva della nuova personalità (fase riabilitativa). A tale scopo vengono usate in modo sistematico tutte le tecniche ritenute utili (senza alcuna esclusione) – tenendo conto delle indicazioni e controindicazioni di ciascuna – e gli ambienti più adeguati a seconda delle singole e specifiche situazioni (abitazione, studio professionale, ambulatorio, struttura intermedia diurna o residenziale, Day-Hospital, Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, comunità terapeutica, ecc.).

Si utilizzano inoltre tutte le collaborazioni possibili, in particolare quelle di operatori con competenze e attitudini specifiche[3], ma si cerca di favorire anche la partecipazione al progetto di figure non professionali, quali prima di tutto i familiari, ma senza escludere amici, forze del volontariato, collettività sociale, e non ultimi, specie nelle situazioni istituzionali, altri pazienti (auto-aiuto).

È questo il principio della terapia e/o riabilitazione in gruppo. In tal modo il paziente può riuscire a compiere un passo evolutivo e di integrazione, realizzando – con le sue forze ed insieme con l’aiuto di tutti e di tutto – una nuova personalità, la migliore possibile, cioè la più autonoma, matura ed integrata, realisticamente attuabile.

LA CURA DELL’ANIMA

L’anima è la parte più profonda dell’umanità dell’uomo.
La cura dell’anima si realizza mediante un processo maieutico di educazione e risveglio del Sé, che viene invitato ad uscire dal suo nascondiglio segreto e sollecitato a rivelarsi e manifestarsi.
Si realizza mediante la comunione tra il Sé dell’uomo terapeuta e il Sé dell’uomo paziente, l’espressione e condivisione intersoggettiva dei sentimenti liberi e la commozione.
La commozione è il fenomeno, caratterizzato dal movimento di un’anima verso un’altra anima. Si realizza un incontro di anime, che si manifestano e si confermano reciprocamente: un’anima si scioglie nell’incontro con lo sciogliersi di un’altra anima.
Quando ciò avviene, il Sé o anima non può più nascondersi. Il sentimento non può più essere negato, perché l’anima si è resa visibile e questa sua visibilità è stata colta. In altre parole l’anima nella sua manifestazione è stata vista da un’altra anima, che a sua volta si è resa visibile. Lo sguardo è stato di empatia e di amore, di stupore e di gioia.
L’uomo terapeuta si pone in relazione prima di tutto col proprio Sé e poi – attraverso il proprio Sé – col Sé dell’uomo paziente.
La voce dell’anima sono i sentimenti liberi. La qualità di fondo, che permette l’espressione autentica di tutti i sentimenti, è l’umiltà. L’umiltà è il sentimento basilare della condizione umana; è il suo humus, la sua terra, che dà il senso di appartenenza alla condizione umana, e che dà il senso delle giuste proporzioni. Fa sentire l’uomo né troppo piccolo, né troppo grande, gli dà allo stesso tempo il senso dei propri limiti e la percezione delle proprie potenzialità.
I sentimenti liberi sono come le note dell’umanità dell’uomo: come una costellazione ci orientano nel nostro procedere esistenziale, facendoci sentire vivi, vitali e pienamente umani, ed indicandoci in tal modo che stiamo percorrendo la giusta via. Sono la garanzia della nostra umanità. Sono il nostro albero della vita.
Non ci si riferisce ai sentimenti ovattati, falsificati, incanalati, imposti, ma a quelli veri, autentici, cioè i sentimenti liberi, i soli che originano dal Sé. I sentimenti del Sé o anima nascono liberamente nel cuore dell’uomo, e si rivolgono alla libertà dell’altro[4].
Sono prima di tutto il sentimento di libertà, poi la speranza, la fiducia, il coraggio, l’amore, la compassione, la riconciliazione, la bellezza, la gioia, ed infine l’innocenza.
L’innocenza è la nostra purezza interiore, la percezione dell’incapacità di vedere il male e di nuocere. È l’essenza immacolata della nostra anima. È la nostra sostanziale immunità da ogni male, malattia e colpa. È la nostra “essenza angelica”, incontaminata e incontaminabile. È il sentimento che ci salva dalla presunzione della conoscenza e ci restituisce l’albero della vita.

IL LINGUAGGIO CAPOVOLTO DELL’ANIMA: UNA CHIAVE DI LETTURA

L’uomo paziente, identificato con la sofferenza e la patologia, comunica solo in piccola parte i suoi sentimenti intimi a livello cosciente. Di fatto utilizza prevalentemente vie inconsce. Utilizza il meccanismo della risonanza, per cui cerca di far risuonare i suoi sentimenti liberi nell’animo dell’uomo terapeuta.
In una prima fase però l’uomo paziente comunica per vie inconsce i sentimenti liberi dell’anima avvolti dalla sofferenza e dalla patologia, e dalle emozioni negative, che tengono per così dire “imprigionato” il sentimento sottostante e in qualche modo lo sostituiscono.
Il terapeuta allora sente “in primis” risuonare in sé – avvertendoli come se fossero suoi – i contenuti di sofferenza e patologia proiettati su di lui dal paziente, e sarà suo compito elaborarli e comprenderli nel loro significato più profondo.
La sofferenza viene pertanto a rappresentare un tramite, una modalità di comunicazione dei sentimenti dell’anima. Vale a dire che il paziente:

  1. comunica la libertà della sua anima attraverso i suoi vissuti di oppressione, di costrizione e d’impotenza;
  2. comunica la sua gioia di esserci e di vivere attraverso i momenti di tristezza e depressione, il dolore di non poter assaporare la felicità;
  3. comunica la sua speranza, la sua voglia di credere attraverso i suoi stati di vuoto, perdita di senso e disperazione;
  4. comunica la sua fiducia, la sua voglia di affidarsi all’altro e di farsi aiutare attraverso la diffidenza e sospettosità, la paura di essere ferito e tradito;
  5. comunica il suo coraggio nascosto attraverso la sua paura, e i suoi momenti di debolezza e di viltà.
  6. comunica il suo amore, la sua voglia di amare e di essere amato, attraverso la sua rabbia, la sua aggressività, il suo odio, per il suo non sentirsi amato e non riuscire ad amare;
  7. comunica la sua empatia e compassione attraverso i suoi gesti di egoismo ed egocentrismo;
  8. comunica il suo bisogno di riconciliazione attraverso il suo desiderio di vendetta per le reali o presunte ingiustizie subite;
  9. comunica il suo sentimento di relazione e di comunione, di interdipendenza con gli altri, il mondo e tutta la vita con i suoi vissuti di solitudine e di isolamento, di diversità e di separazione;
  10. comunica lo stato di purezza e innocenza della sua anima attraverso la sua percezione del male, i suoi vissuti di colpa, d’indegnità e di vergogna.

L’uomo terapeuta ha così a disposizione una chiave di lettura dell’anima, che gli permette di leggere quello che possiamo chiamare il linguaggio capovolto dell’anima.
Ecco quindi una delle funzioni più specifiche dell’uomo terapeuta: quella di traduttore. L’uomo terapeuta è come uno “specchio” che non solo riceve e riflette, ma anche raddrizza, ri-capovolge e rende visibile il linguaggio segreto dell’anima.
All’uomo terapeuta il compito di tradurre il linguaggio nascosto del Sé, e di entrare in risonanza e consonanza con i sentimenti celati sotto le ferite ricevute, coperti e tenuti nascosti dalle successive reazioni e difese.

LA CONDIVISIONE TERAPEUTICA

Ricapitolando, l’uomo terapeuta ha cinque compiti importanti, che possiamo così riassumere.

  1. Condivisione della solitudine. L’uomo terapeuta si pone accanto all’uomo paziente, ponendosi in dialogo e relazione con lui, affinché non si senta più solo di fronte alla sua situazione di sofferenza e/o patologia.
  2. Condivisione della sofferenza. Il terapeuta riceve, accoglie con amore le comunicazioni di sofferenza, lasciandole risuonare in sé e condividendole ed assumendole in sé in parte, al fine di alleviare nell’uomo paziente il suo carico di dolore, ma soprattutto al fine di una sua comprensione più profonda.
  3. Condivisione della gioia. Come abbiamo detto, la funzione più specifica dell’uomo terapeuta è quella di traduttore della comunicazione di sofferenza nel messaggio sottostante di gioia mortificata. La sofferenza è il sintomo, l’espressione dolorosa di una gioia perduta e mortificata. Il terapeuta ha il compito di andare oltre la sofferenza, per individuare e raggiungere la comunicazione di gioia mortificata che sta dietro: una gioia che, pur ferita, è ancora pronta a rianimarsi e rivitalizzarsi, se vista, riconosciuta, confermata e finalmente condivisa.
  4. Comunione tra Sé e Sé. Il terapeuta si sforza di mettersi in contatto, attraverso il proprio Sé, col Sé o anima del paziente:
    a. irradiando nello spazio-tempo della relazione i sentimenti della propria anima, facendoli risuonare nell’animo del paziente, fino ad evocare e far riaffiorare in lui i sentimenti sottostanti alle ferite;
    b. cercando di cogliere le manifestazioni di anima dell’uomo paziente, quando si verificano spontaneamente nell’ambito della relazione terapeutica, soffermandosi su di esse e approfondendole mediante una meditazione fatta insieme al paziente;
    c. seguendo la traccia del sentimento di nostalgia, e ricercando nei luoghi della memoria del paziente i momenti di dolcezza relazionale vissuti nel suo passato.Il termine finale, in tutti questi casi, è la conferma e condivisione. Il culmine di questo processo è la commozione.
  5. Comunione con la vita – Sì alla Vita. Possiamo chiamare questa ultima forma di condivisione una consonanza con la Vita: è il Sì alla Vita. Il terapeuta sa che prima di essere un terapeuta è un uomo, un essere umano con i suoi limiti e potenzialità. Egli sa allora che non può fare tutto da solo. Non è lui che opera la guarigione. È la vita che guarisce. È la vita l’unico vero e grande terapeuta. Sia il terapeuta che il paziente sono dei tramiti, degli intermediari del fluire della vita. Esiste un terzo che è la relazione, il fluire stesso della vita, che si manifesta anche nella relazione tra paziente e terapeuta: è la vita che ovunque scorre ed ovunque risana, che ricompone ogni piccolo e grande problema umano, che restituisce a tutto movimento e relazione. La malattia nasce spesso con un “No alla vita”, come atto di rifiuto e ribellione alla condizione umana. È necessario ritrovare l’amore e la fede per la vita, una volontà di credere che la vita abbia un senso e che questo significato sia buono. Si tratta di dire di nuovo di Sì alla vita. La risonanza e condivisione tra due persone non basta. Bisogna porre in relazione le nostre sofferenze e le nostre gioie con i dolori e le gioie di tutta l’umanità e della vita universale. Bisogna riscoprire l’innocenza della nostra anima, sciogliere i nostri sentimenti pietrificati, ricominciare a muoverci e commuoverci, tornare a stupirsi come quando eravamo bambini, ed ascoltare finalmente il lieto fine della fiaba della nostra esistenza si da poter udire di nuovo quello che possiamo chiamare il “canto buono della vita”.

CONCLUSIONI

Il “nuovo” metodo di terapia nell’ottica della psicosintesi si compone pertanto di due parti:

  1. Cura della personalità
  2. Cura dell’anima.

La cura della personalità non è sufficiente per una guarigione completa. Realizzare una personalità armonica, matura ed efficiente non basta. È necessario anche animarla, darle vita. Un lavoro esclusivo su di essa rischierebbe di portare alla costruzione di una personalità artificiosa, devitalizzata, priva di sentimento, inanimata.

Similmente la cura o maieutica dell’anima non può essere di per sé sufficiente, perché il Sé o anima venne a trovarsi come in una specie di limbo, in un’atmosfera rarefatta e disincarnata. L’anima resterebbe come sospesa nell’aria, scoperta, senza difese, visibile e vulnerabile, non avendo a disposizione una personalità adeguata con la quale potersi esprimere, nella quale potersi riconoscere e con la quale potersi anche difendere nella vita.

La psicosintesi intende la terapia in modo integrale, ed è rivolta sia al meccanismo che alla soggettività, sia allo strumento biopsichico che alla persona che ci abita e che lo utilizza. La terapia psicosintetica è costituita da due processi sinergici e paralleli: la ricomposizione armonica, matura ed efficiente della personalità e il recupero della presenza e soggettività umana (Sé o anima).

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[1] Articolo tratto dalla relazione tenuta al Congresso Internazionale di Psicosintesi “Psicosintesi nel mondo”, Roma 21-24 Giugno 2012.
[2] In questo articolo non viene trattata la fase di accertamento della situazione esistenziale del paziente, di analisi dei conflitti (personali, interpersonali e transpersonali), dei complessi, delle subpersonalità e immagini di sé, di individuazione dei progetti patologici inconsciamente perseguiti dal paziente. Per questa fase analitica e diagnosticasi rimanda all’articolo di Alberti A. , Favero N., Teoria e pratica della diagnosi in Psicosintesi, in “Rivista di Psicosintesi Terapeutica”, Anno VI n. 11, Marzo 2005, ed. SIPT, Firenze.
[3] Psichiatra, psicologo, infermiere professionale, medico di base, assistente sociale, educatore professionale, esperti in varie attività riabilitative di gruppo (attività ginnico-sportive, arteterapia, musicoterapia, teatroterapia, autobiografia, ecc.).
[4] L’amore per esempio non è un obbligo morale (non è un “devo amare”), ma è libertà di amare e amore dell’altro nella sua libertà di essere se stesso.