L’arte e la tecnica del silenzio

Rivista di Psicosintesi Terapeutica – Anno III, Numero 6, Marzo 2002

L’ARTE E LA TECNICA DEL SILENZIO[1]

Roberto Assagioli

To defend ourselves from this damaging noisy civilization, Assagioli affirms the necessity of rediscovering the value of silence and to learn the art and technique to realise it. Only the “exterior silence” does not exist (absence of sounds, to give up to speak, etc.), there is also the “internal silence” (silence of emotions, of mind, of imagination, of will, etc.). He underlines that the silence is not only absence of a sound or a letter, but it has a positive and active nature. The Silence has a soul: it is an entity, a living and conscious energy. Assagioli speaks about the technique of silence which can be realised by meditation, both individual or in group. He refers to the positive effects of silence of the reinforce of energies and regeneration of the whole personality.

INTRODUZIONE

Potrebbe sembrare una contraddizione, o almeno un paradosso, parlare del silenzio, ma in realtà non è così. Come avviene per molte paia di opposti, i due poli non sono antagonistici, non si escludono a vicenda, entrambi sono necessari. Il problema non consiste nell’eliminare uno di essi, ma nella saggia regolazione di entrambi; questo è un aspetto, un’applicazione importante della Legge dei retti rapporti.
Cominciamo quindi a parlare di questo tema dal punto di vista dei rapporti fra il silenzio da un lato e la parola e il suono dall’altro. Quindi quello che sto per dire non è violare il silenzio, ma soltanto una guida verso il “Tempio del Silenzio”.

IL SILENZIO E LA PAROLA

Al silenzio segue il suono; ma ogni suono, o parola creativa, dovrebbe provenire dal silenzio.
Il primo genere di retti rapporti fra silenzio e parola e quello delle loro giuste proporzioni: non occorre che mi dilunghi qui a indicare l’enorme sproporzione che esiste ora tra silenzio e suono… o rumore.
La nostra civiltà è stata chiamata la civiltà del rumore: ogni genere di rumori ci assilla in quelle che sono state chiamate le “giungle dell’Occidente”. Il continuo frastuono è dannoso anche alla salute fisica; ma il peggio è che l’umanità attuale, soprattutto i giovani, non solo si abituano al rumore, ma lo desiderano, tanto che lo creano quando non c’è, ad esempio tenendo la radio aperta al massimo, finché essi divengono incapaci di sopportare il silenzio.
Questo riguarda il rumore ed i suoni dall’esterno; ma la situazione non è migliore riguardo ai suoni che provengono dal nostro interno, il che significa soprattutto: parlare a vanvera o a sproposito. Se ci fossero strumenti per misurare la somma di energie sprecate in parole vane e anche dannose, ne saremmo veramente colpiti, ma non occorre grande immaginazione o un contatore speciale per rendersene conto.
L’abitudine di parlare troppo e male è stata incoraggiata da quello che può essere chiamato il culto moderno dell’espressione, il diritto dell’auto-espressione. Questa è stata una reazione all’eccessiva repressione dell’Ottocento, ma, come in tutte le reazioni, è andata all’altro estremo e vi è in realtà un bisogno urgente di limitare l’attuale eccessivo, sregolato, “espressionismo”.
Anche qui la soluzione consiste in una giusta regolazione, ciò che significa semplicemente: pensare prima di parlare, considerare se quello che stiamo per dire ha qualche valore o serve a qualcosa. È stato affermato che: “L’umanità nel suo insieme ha bisogno del silenzio ora come mai prima, ha bisogno di riflettere e di percepire il ritmo universale”.
Questo bisogno è particolarmente grande e urgente per chi è orientato spiritualmente, e questo ci porta a considerare un altro genere di silenzio, più sottile ma non meno vitale e necessario, cioè il silenzio interno.

IL SILENZIO INTERNO

“Silenzio” non significa soltanto astenersi dal parlare. Quando le tempeste delle nostre emozioni tumultuano in noi, quando la nostra mente discorre continuamente con se stessa, non vi è vero silenzio. Il silenzio non è soltanto l’astenersi dal parlare, ma anche l’astenersi da certe linee di pensiero, l’eliminazione delle fantasticherie e dell’uso non sano dell’immaginazione.
Il silenzio interno è di vari generi e si potrebbe dire che ogni sfera di vita ha il suo proprio silenzio. Tutti conosciamo il meraviglioso silenzio della natura, sia in un pomeriggio d’estate, sia soprattutto durante la notte: il silenzio di fronte al cielo stellato. Vi è poi il silenzio delle emozioni, dei desideri, delle paure, dell’immaginazione; quello che in senso positivo :è pace e serenità. Il silenzio nel livello mentale consiste nel tener ferma la mente, nel frenarne l’attività.
Vi è anche un “silenzio della volontà”, cioè della volontà personale, che significa la dedizione di questa volontà e la sua unificazione con la volontà transpersonale. La forma più alta del silenzio è quella conseguita e mantenuta nella contemplazione. Sulla via religiosa e mistica è chiamata “orazione di quiete”, ma sotto ogni aspetto la contemplazione è la forma più alta di silenzio che richiede e include tutte le altre.
Un aspetto del silenzio che non è generalmente preso in considerazione è la letizia. E stata data un’interessante definizione della letizia: “il silenzio che risuona”, ed è stato detto che è una caratteristica di chi conosce ed apprezza i valori dello Spirito.

IL SILENZIO COME ENTITÀ

Un altro fatto ancora meno riconosciuto è che il silenzio è un’entità; vi è uno “spirito del silenzio”, nello stesso senso in cui vi è uno “spirito dell’amore”, uno “spirito della luce”, uno “spirito della bellezza”. Alla nostra mente materialistica questo sembra strano, difficile a concepire, eppure tutti gli attributi e le qualità di Dio… sono forze coscienti e viventi. Tutto è vivente nell’universo… Il riconoscerlo ci dà un senso meraviglioso della Vita universale che è una e molteplice, manifestata in miriadi di entità…
Vi è un particolare beneficio nel pensare al silenzio come ad una entità, perché ci aiuta a comprendere la sua natura positiva ed attiva e a non considerarlo, come si fa di solito, semplice assenza di suono o di parola. Il silenzio è un’energia spirituale positiva e, se lo ammettiamo, possiamo venire aiutati a praticarlo invocando lo spirito del silenzio, entrando in comunione con esso, e così divenendo recettivi alle “impressioni” che ci vengono quando siamo, metaforicamente, “avvolti dalle sue ali”.
Vi è uno stretto rapporto tra il silenzio e la recezione telepatica dall’altro; è stato detto che la Scienza della recettività è basata su vari tipi di silenzio.

LA PRATICA DEL SILENZIO

Dirò ora qualcosa sulla pratica, sulla tecnica di quest’arte del silenzio. Come per sviluppare ogni altra qualità spirituale, una prima facile ed utile preparazione è il mettersi in quella “atmosfera” leggendo qualcosa sul tema. Fra gli scritti adatti a tale scopo citerò il bel saggio di M. Maeterlink sul silenzio nel volume Le trésor des Humbles[2]: la celebrazione del silenzio di Th. Carlyle contenuta nel suo libro On Herpes. I Quaccheri hanno pubblicato numerosi scritti sul silenzio, poiché essi basano la loro vita religiosa su riunioni di silenzio[3].
Inoltre può essere di stimolo e di monito l’esempio di coloro che hanno praticato in modo particolare il silenzio. Fra i moderni vi è Aurobindo, il quale per parecchi anni è stato in silenzio per 360 giorni ogni anno e in tali periodi scriveva molto ma taceva: un esempio estremo è quello di Gandhi che una volta la settimana, ogni lunedì, osservava 24 ore di silenzio.
Dopo questa preparazione dobbiamo “fare silenzio” dentro di noi; e questo si può ottenere mediante i vari stadi della meditazione. Anzitutto raccoglimento “dalla periferia al centro”, poi elevazione del centro di coscienza mediante l’aspirazione del sentimento e la direzione dell’interesse della mente verso l’anima, e in generale verso il mondo dello spirito e della realtà. È importante traversare rapidamente, per così dire, il livello emotivo e immaginativo per non disperdersi nelle impressioni psichiche che possono venire quando ci soffermiamo in esse.
La coscienza deve essere tenuta ad un altro punto di tensione interna. Questa tensione, che è una consapevolezza vigile, una “presenza” spirituale a noi stessi, è la condizione essenziale per ogni conquista spirituale. Essa può essere considerata una combinazione dell’intenzione e dell’attenzione. L’“intenzione” è quella che ci sospinge a penetrare a livelli più alti di coscienza; l’“attenzione” è la concentrazione o “accentramento” della coscienza, e il mantenerla fissa al livello raggiunto. Si noti che la “tensione spirituale” è diversa dalla “tensione personale”. Sono, anzi, due condizioni opposte. La seconda ostacola la prima, mentre la tensione spirituale può meglio venire attuata e mantenuta in uno stato di rilasciamento fisico e di calma emotiva e mentale. Questa tensione è seguita dal silenzio, un silenzio vivente, che crea le condizioni necessarie per ogni rivelazione.

SILENZIO IN GRUPPO

Tutto quanto è stato detto fin qui riguarda il “silenzio individuale”; ma può e dovrebbe essere applicato anche al silenzio in gruppo e di gruppo. Le riunioni di gruppo facilitano la pratica del silenzio, non solo per l’occasione, la necessità di stare in silenzio, ma anche perché si crea, insensibilmente ma realmente, una comunione fra un gruppo di persone e anche tra due persone che stanno insieme in silenzio. Nei Fioretti di San Francesco c’è un aneddoto che mostra bene come i francescani conoscessero il valore del silenzio.
“Poco dopo la morte di S. Francesco, S. Luigi Re di Francia andò travestito da Fratello Egidio nel suo convento a Perugia; ma era stato rivelato al Fratello che il pellegrino era in realtà il Re di Francia, perciò esso lasciò in fretta la sua cella e andò ad incontrarlo al cancello senza fargli alcuna domanda. Essi si inginocchiarono e si abbracciarono con grande reverenza e segni di affetto come se già esistesse una lunga amicizia fra essi, per quanto non si fossero mai incontrati prima.
Nessuno di essi disse una parola e dopo essere rimasti abbracciati per qualche tempo si lasciarono in silenzio; poi quando gli altri Fratelli appresero chi era l’umile pellegrino, rimproverarono aspramente il Fratello per il suo silenzio. Egli rispose: ‘Cari Fratelli non siate sorpresi a ciò se io non ho detto una parola a Lui né Lui a me, perché quando ci siamo abbracciati ci siamo visti l’uno nel cuore dell’altro, è molto di più che se avessimo spiegato a parole ciò che abbiamo sperimentato nelle nostre anime. La lingua dell’uomo rivela così imperfettamente i segreti misteri di Dio che le parole sarebbero state per noi più un ostacolo che un conforto’” (XXXIV).

EFFETTI DEL SILENZIO

Gli effetti del silenzio sulla nostra personalità sono: il ricaricamento di energie, il ritempramento e un vero processo di rigenerazione di tutti gli aspetti personali.
Un effetto del silenzio in gruppo è inoltre l’armonizzazione; quando in un gruppo ci sono contrasti o dissensi o semplici diversità di opinioni su qualche decisione da prendere, su qualche attività da svolgere, la migliore cosa è di fare un silenzio, un raccoglimento insieme (questo naturalmente presuppone che tutti conoscano e apprezzino l’arte del silenzio); dopo un periodo di silenzio insieme è più facile intendersi, poiché allora si considera il problema dell’altro, impersonalmente; si sono messe a tacere le personalità separative e ci si è riuniti simbolicamente – nel Tempio del Silenzio – e in esso ognuno, avvicinandosi alla propria anima unita alle anime degli altri, vede i punti di accordo, di contatto, d’intesa.
Ma i buoni effetti del silenzio non si limitano a questo. Con la pratica del silenzio a poco a poco si sviluppa quella che è stata chiamata “la duplice via del discepolo”, cioè la capacità di mantenere una “zona di silenzio” durante la vita quotidiana, in mezzo ai rumori ed al tumulto: “il silenzio del centro man­tenuto nel rumore di tutto il mondo”. Anche a questo riguardo vi è un esempio incoraggiante, quello di Frate Lorenzo della Resurrezione, il quale era capace di “mantenere il senso della presenza di Dio mentre era affaccendato in una rumorosa cucina”.
Un altro buon risultato della pratica del silenzio è quello di imparare ad agire in silenzio, senza chiasso e rumore. Nel metodo educativo di Maria Montessori viene usato un esercizio per allenare i bambini a muoversi ordinatamente, in attento silenzio; essi lo fanno volentieri e imparano così l’auto­ dominio.
Un allenamento consimile – ma con scopo ben diverso – viene fatto dai… “topi d’albergo”, i quali divengono capaci di rubare silenziosamente nelle stanze senza svegliare quelli che le occupano! Ciò facendo, essi in realtà praticano una forma di Yoga; infatti fino a un dato punto lo Yoga, lo sviluppo di certe capacità, può essere usato tanto in modo egoistico, quanto in modo altruistico e positivo.
La differenza sta nel movente, non nell’abilità tecnica; perciò possiamo imparare molto anche da quelli che si conducono male; spesso essi sanno con­ dursi molto male bene, mentre noi ci conduciamo bene… poco bene! Ricordiamo che nel Vangelo è detto che Cristo viene “come un ladro nella notte”.
Un altro vantaggio del mantenere una zona di silenzio, di dis-identificazio­ne, di raccoglimento, pur dando la parte necessaria e sufficiente (ma non di più) di attenzione e di energie alle attività che svolgiamo, è quella di poter prestare ascolto e riconoscere intuizioni, messaggi, spinte interne che non di rado vengono più facilmente quando pensiamo ad altro o siamo attivi esterna­ mente, che nei momenti di raccoglimento.

CONCLUSIONE

Credo che questi rapidi cenni possano bastare per stimolarci ad attuare o intensificare la pratica del silenzio. Consideriamoci, individualmente ed in gruppo, quali “amici del silenzio”, seguaci e servitori dello spirito del silenzio.

[1] Articolo tratto da un corso di lezioni dell’Istituto di Psicosintesi, Firenze.
[2] Maeterlink M., Il tesoro degli umili, Ed. E. Voghera, Roma 1930.
[3] Vedi tra l’altro L’arte del Silenzio e l’uso della Parola di Nico Varo, Ed. Rotondi Roma 1969; C. H. Hepher, The Fellowship of Silence, London Mac-Milan 1915; .L V. Hodkin, Silent Worship, London, Swarthmore 11919; G. Hoyland, The Use of Silence, Wallingford, Pondle Hill, 1961.